A quattro anni e mezzo dagli arresti. Cosa rimane della Mensa dei poveri
L'ultima grande inchiesta sulla corruzione aveva suscitato tanto clamore. Tra gli assolti eccellenti c'è Paolo Orrigoni: "Io fortunato. Altri hanno avuto la vita distrutta"
Cosa rimane del maxi-processo Mensa dei Poveri? Tante assoluzioni, anche di rilievo, poche ma pesanti condanne come quella nei confronti di Lara Comi e i patteggiamenti di personaggi come l’ex-coordinatore occulto di Forza Italia Nino Caianiello che aveva tirato le fila della politica e delle società partecipate in tutto il Varesotto, con propaggini fino a Milano.
Le parole che rimangono: mensa dei poveri, retrocessioni, ambulatorio
Rimarrà il nome di questo processo, mensa dei poveri, che era e rimane uno schiaffo ad un sistema politico ormai allo sbando e che si accontentava delle briciole (le famose retrocessioni del 5% al politico o al partito) ma che era anche il nome che veniva dato dai protagonisti ad un importante locale milanese in cui avvenivano incontri e riunioni.
Rimarrà la parola “ambulatorio”, un altro locale ma questa volta a Gallarate, dove il deus ex-machina di Forza Italia Caianiello incontrava politici e professionisti gestendone fortune e sfortune lavorative, distribuendo incarichi nelle varie società partecipate in cambio di retrocessioni in denaro, decidendo candidature e alleanze politiche in base alle convenienze del momento.
Come è nata l’inchiesta
Da dove nasce l’ultimo grande processo alla corruzione tra politici, imprenditori e professionisti? Era il frutto di due grandi inchieste: una partita da Milano con i pm milanesi Silvia Bonardi e Adriano Scudieri che avevano lavorato ai legami tra l’imprenditore attivo nei servizi ecologici Daniele D’Alfonso (condannato a 6 anni e 6 mesi) e numerosi politici attivi nel capoluogo e l’altra dal pm passato da Busto Arsizio a Milano, Luigi Furno, che aveva aperto il vaso di Pandora della corruzione nel Varesotto con l’indagine sull’allora sindaco di Lonate Pozzolo Danilo Rivolta che riempì numerose pagine di verbali tirando in ballo tutta la galassia caianielliana.
L’inchiesta coinvolse l’Unione Europea e sfiorò la Regione Lombardia, investì il settore urbanistico di Gallarate, numerose società pubbliche come Accam, oggi confluita in Neutalia e che gestiva l’inceneritore di Busto Arsizio, Amsc a Gallarate, Prealpi servizi (oggi in liquidazione), Alfa srl, che gestisce la rete idrica, ma anche appalti in vari settori dalla sanità a quello dei rifiuti, finanche nel settore gas.
Un processo meticoloso e corretto
L’indagine fu clamorosa ma il processo è stato meticoloso e attento, condotto dal presidente della sezione Crimine Organizzato del tribunale di Milano Paolo Guidi, grazie anche ad una condotta del foro che non ha cercato di allungare i tempi. Certamente alcune carriere politiche ben avviate dovettero interrompersi ingiustamente, sicuramente un imprenditore a capo di un’azienda con migliaia di dipendenti come Orrigoni dovette lasciare il timone della società, ma non c’è dubbio che alcuni personaggi, da troppo tempo avvinghiati al potere, dovettero finalmente interrompere la loro egemonia.
Il bilancio finale
Il bilancio finale dice che furono più di 80 le persone raggiunte da avvisi di garanzia (per l’udienza preliminare, in pieno Covid, si utilizzarono gli spazi fieristici del Portello), una cinquantina di questi sono stati assolti in primo grado. Tra questi c’è il sindaco di Gallarate Andrea Cassani, assolto su richiesta della stessa procura, l’imprenditore patron dei supermercati Tigros Paolo Orrigoni, anche lui assolto con formula piena nonostante la richiesta di condanna dell’accusa, c’è anche il consigliere regionale Angelo Palumbo. Sul fronte milanese diversi politici di Forza Italia come Fabio Altitonante e Pietro Tatarella sono stati assolti.
Tra coloro che hanno pagato il prezzo c’è Nino Caianiello che ha patteggiato 4 anni e 10 mesi, il deputato piemontese di Forza Italia Diego Sozzani, condannato a 1 anno e 1 mese, l’eurodeputata Lara Comi che ha rimediato una pesante condanna a 4 anni e 2 mesi.
Le parole di Paolo Orrigoni, una delle assoluzioni eccellenti del processo Mensa dei Poveri
Ecco come ha vissuto Paolo Orrigoni questi anni, dall’arresto ai domiciliari, fino al processo: «Credo sia difficile sintetizzare tutto quello che è successo. Mi sono sempre fatto forza del pensiero che sono una persona fortunata. Non mi potevo licenziare quindi non potevo perdere il lavoro ma non so cosa avrei deciso se fosse successo ad un manager che lavorava per me. Ho lavorato in questi 4 anni in situazioni difficili e non solo per il processo, nei quali mi sono trovato davanti tanti bivi. Queste vicende distruggono il 99% delle persone sia a livello economico che sociale. È un elemento oggettivamente condizionante».
Riguardo alla sentenza: «Parla da sola, l’assoluzione è la più ampia possibile. Per quanto riguarda la giustizia e il suo funzionamento credo che ci sia una riflessione da fare quando si parte con 80 imputati e si finisce con 50 assoluzioni. Penso che potevano funzionare meglio i filtri intermedi previsti dal nostro ordinamento».
Infine una riflessione su come è stata vissuta questa notizia in famiglia: «C’è sollievo anche in famiglia. È indescrivibile la sensazione che si possa andare avanti e non avere nel retropensiero questa situazione. Personalmente, come padre, sento l’orgoglio di poter parlare ai miei figli senza dover giustificarsi un domani. Ieri sera li ho abbracciati».
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