Chiesto il rinvio a giudizio per Irene Pivetti e altri 8 per l’affare milionario delle mascherine scadenti
In piena pandemiamportò in Italia milioni di mascherine del tutto inadeguate spacciandole per FFP2 incassando dalla Protezione Civile 25 milioni di euro poi spariti nel nulla. Nella richiesta 92 capi d'accusa
Il sostituto procuratore di Busto Arsizio Ciro Caramore ha depositato in questi giorni al giudice dell’udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti, l’imprenditore di Vanzago (Mi) Luciano Mega e altre sette persone (tra le quali la figlia e il genero della Pivetti) allegando alla richiesta 92 capi di imputazione per la vicenda della fornitura di mascherine durante l’emergenza covid alla Protezione Civile nazionale e ad altri enti pubblici e aziende private.
Un lungo elenco di ipotesi di reato
L’ex-parlamentare e gli altri otto sono accusati a vario titolo di frode in forniture pubbliche, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio, contrabbando aggravato e bancarotta fraudolenta nell’ambito di una compravendita dalla Cina di mascherine per un valore complessivo di 35 milioni di euro delle quali ne sarebbero state consegnate solo per un valore di 10 milioni ma di qualità scadente, praticamente inutilizzabili, con falso marchio CE. All’aeroporto di Malpensa ne furono sequestrate 1,3 milioni a luglio del 2021, ancora in piena pandemia.
La reazione degli avvocati e la questione dell’incompetenza territoriale
L’avvocato di Irene Pivetti, Filippo Cocco, ha commentato la decisione pacatamente: «Finalmente questa vicenda atterra in un tribunale dove la mia assistita non ha alcun timore di confrontarsi e far emergere la verità. Non è detto che, alla fine, sarà quello di Busto Arsizio». Ipotesi che conferma il legale di Luciano Mega, Vincenzo Lepre: «Il pubblico ministero si è già visto respingere dal giudice per le indagini preliminari la misura cautelare (non nel merito, ndr) e nello stesso provvedimento il giudice ha sottolineato l’incompetenza del tribunale di Busto Arsizio, sostenendo che dovesse essere inviato a Roma. Stessa cosa è accaduta davanti al Riesame che non si è espresso in quanto il pm non può appellare sulla competenza. Vedremo cosa dirà il giudice dell’udienza preliminare»
Quando Irene Pivetti si tuffò nell’emergenza coronavirus
Da quanto emerso nell’inchiesta la Pivetti, attraverso una società a lei riconducibile (la Only Italia che fino a quel momento aveva un fatturato irrisorio) e insieme ad altre persone considerate meri prestanome, tra il 2020 e il 2021 avrebbe incassato qualcosa come 35 milioni di euro per le forniture di mascherine, spacciate per FFP2, in realtà erano di pessima qualità e non potevano essere utilizzate negli ospedali.
Un’indagine durata due anni e 600 pagine di dati, nomi, fatti
Nelle 600 pagine della richiesta cautelare, confezionata qualche mese fa dal magistrato di Busto dopo due anni e mezzo di indagine, in collaborazione con la polizia giudiziaria della Guardia di Finanza di Busto e altri reparti delle fiamme gialle, sono stati ricostruiti minuziosamente i meccanismi dell’importazione delle mascherine e le commesse per la Protezione Civile che in quel momento gestiva la grande emergenza della mancanza di dispositivi di protezione individuale, soprattutto per gli ospedali.
L’emergenza che diventa un grande affare milionario
In quel momento di grave carenza in molti si mossero per accaparrarsi partite di dispositivi a fronte di impegni di spesa davvero importanti da parte della struttura comandata in quel momento da Angelo Borrelli. Tra questi spuntò anche la società di cui era rappresentante legale la Pivetti che ottenne due contratti da 23 e da 2 milioni di euro.
Mascherine che non rispettavano i requisiti europei e cinesi
Peccato, però, che questi dispositivi non rispondessero ai criteri minimi dettati dall’Unione Europea (nonostante riportassero il marchio Ce e nemmeno agli standard minimi cinesi, dove erano state prodotte. Da quanto emerso sarebbero stati fatti tutti i test necessari che avrebbero dimostrato l’assoluta inadeguatezza dei dispositivi che, in alcuni casi, sarebbero stati addirittura dannosi per la salute.
Le agevolazioni fiscali per l’importazione
Ad aggravare la posizione di Pivetti e di Mega ci sarebbe anche il fatto che avrebbero beneficiato di agevolazioni fiscali previste in quel periodo emergenziale per chi importava dpi per conto della Protezione Civile (che doveva essere l’unica beneficiaria, ndr) mentre alcune partite sarebbero state vendite ad enti pubblici come l’Asl di Napoli 3, ATM Genova ed Estar Toscana, oltre ad aziende private. Da qui anche l’accusa di contrabbando aggravato.
Dei 34 milioni incassati solo 1,2 sul conto
Il pubblico ministero bustese, inoltre, avrebbe racchiuso nel suo fascicolo qualcosa come 40 procedimenti aperti in tutta Italia riguardanti questa vicenda ricucendo pezzi di indagine che erano partiti un po’ dappertutto. Alla fine riuscirà a sequestrare (provvedimento ancora in atto) solo 1,2 milioni di euro dal conto riconducibile all’ex-parlamentare mentre gli altre 34 milioni avrebbero preso il volo verso conti prevalentemente esteri.
Quella zero in più che ha fatto la differenza
Emblematica, inoltre, la vicenda dell’errore di trasferimento di danaro dai conti della Protezione Civile verso il conto della Pivetti raccontato anche in una puntata di Report per il quale ben due funzionari addetti alle procedure di pagamento avrebbero trasferito 13,2 milioni di euro in una sola volta invece che 1,32. Uno zero in più che ha fatto una gran differenza per la società Only Italia e del quale la Protezione Civile si sarebbe resa conto solo 8 giorni dopo, chiedendo senza successo la restituzione della somma erogata in eccesso. Quei soldi, come gli altri transitati velocemente sul conto della filiale di una banca di Roma, sono immediatamente spariti verso desitnazioni che la stessa Procura non è riuscita ad identificare.
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