Drogato coi tranquillanti e derubato: l’imputato è Sergio Domenichini, condannato a Varese a 7 anni per rapina aggravata
La sentenza pronunciata dal Colelgio di Varese: la vittima nel frattempo è deceduta. L'uomo è a processo in corte d'assise per l'omicidio volontario aggravato dell'anziana di Malnate Carmela Fabozzi
Forti tranquillanti sciolti in una bevanda, con l’obiettivo di mandare all’ospedale «il vecchio amico» (per poi derubarlo) incontrato per caso in un bar a Varese. Un uomo solo, e con problemi di salute e che si era spinto a fidarsi di quella vecchia conoscenza, tanto da ospitare l’uomo a casa sua, lo stesso condannato giovedì nel pomeriggio dal Collegio di Varese con l’accusa di rapina aggravata. Un uomo con un nome e un cognome che i lettori dei titoli della cronaca locale hanno imparato a conoscere bene: è Sergio Domenichini, lo stesso in questi giorni a processo per l’omicidio il 22 luglio del 2022 della pensionata Carmela Fabozzi nella sua casa di Malnate.
È un inciso d’obbligo dal momento che pur rimanendo in piedi la presunzione d’innocenza (siamo al primo grado di giudizio) si staglia all’orizzonte una figura di uomo accusato di sfruttare la sua “parte“ nella società, giocata nei panni del buon samaritano che capita sulla strada di una persona magari in difficoltà, che segue associazioni di aiuto agli anziani per fare del bene. E invece alla prima occasione buona ne approfitta in maniera meschina.
Proprio come l’accusa mossagli dalla Procura di Varese nel processo che lo vede imputato per aver sciolto una sera di marzo del 2021 delle benzodiazepine – fortissimi tranquillanti, servono per dormire – in una bevanda servita proprio all’amico che lo aveva ospitato in casa. Prima della chiusura del dibattimento, nell’udienza di giovedì è stata sentita una dottoressa, medico curante della parte offesa (oggi si è saputo che l’uomo, gravemente malato, nel frattempo è morto) che ha affermato di non aver mai prescritto al suo paziente benzodiazepine. Farmaci che non sono stati infatti ritrovati in casa del suo assistito dalla steessa dottoressa ascoltata in aula come teste: la donna, – ha raccontato – era stata avvertita di un malore del suo paziente da una voce maschile al telefono che quella sera in cui si svolsero i fatti la chiamò. «All’arrivo in casa il mio paziente era particolarmente provato, soporoso, rispondeva appena alle domande, ed era a letto; fuori dall’appartemento c’erano i vicini di casa. All’interno dell’abitazione, un uomo, quello con cui avevo parlato al telefono. Una persona senza capelli, piuttosto corpulenta».
Quell’uomo era Sergio Domenichini, finito a processo perché la parte offesa, una volta arrivata in ospedale e dimessa dopo alcuni giorni, al rientro in casa si accorse che erano spariti oggetti di valore e addirittura l’auto.
Sempre la dottoressa ha spiegato che una volta entrata in casa del suo assistito quasi per istinto si era recata in cucina per verificare se all’interno del frigo vi fossero farmaci: «Soffriva di gravi problemi legati al diabete, volevo controllare se aveva assunto farmaci, ma nel frigorifero non ho visto nessun flacone di benzodiazepine», probabilmente portate dallo stesso imputato con l’obiettivo di mettere ko l’amico che lo aveva ospitato. «Al momento del ricovero col 118», ha concluso la dottoressa, «il mio paziente steso sulla barella aveva chiesto che le chiavi di casa le tenesse Domenichini»
Di fatto però, per la legge si è trattato di una sottrazione con violenza, aggravata appunto dall’impiego di sostanze, una rapina: all’atto delle dimissioni l’uomo che ospitò Domenichini si accorse degli ammanchi e sporse denuncia. Per quei fatti l’accusa aveva chiesto 9 anni di carcere, mentre il Collegio ha pronunciato una sentenza di condanna a 7 anni di carcere.
Domenichini era già stato condannato in passato, tra gli altri, di recenti, anche per l’episodio della “truffa della carriola“
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