Pressione più alta dopo il virus nel 9% degli ammalati, lo studio dell’insubria sul long Covid
Nel dibattito scientifico che sta affrontando questa tematica, c'è un importante studio pubblicato nella sezione «Clinical Insights» della rivista European Journal of Internal Medicine da alcuni ricercatori dell'Università dell'Insubria
Tra gli effetti a medio e lungo termine del Covid-19 c’è anche l’ipertensione. E, nel dibattito scientifico che sta affrontando questa tematica, si inserisce anche un importante studio pubblicato nella sezione «Clinical Insights» della rivista European Journal of Internal Medicine da alcuni ricercatori dell’Università dell’Insubria.
Si tratta di una nuova analisi del gruppo di studio dell’Università dell’Insubria coordinato dal professor Fabio Angeli, docente di Malattie dell’apparato cardiovascolare del Dipartimento di Medicina e innovazione tecnologica e direttore della Medicina e della Cardiologia Riabilitativa dell’Irccs Maugeri di Tradate, che ha firmato l’articolo con Martina Zappa, biotecnologa dell’Insubria, e Paolo Verdecchia, ricercatore cardiovascolare di Perugia.
Lo studio dell’Università dell’Insubria ha spiegato in particolare le dimensioni del problema e i meccanismi responsabili: analizzando i dati da grandi database per un totale di quasi un milione di individui, i ricercatori hanno evidenziato che l’insorgenza di valori pressori superiori alla norma interessa il 9% dei soggetti colpiti da Covid-19, quasi il doppio dell’incidenza osservata nella popolazione non colpita dall’infezione. In altre parole, 9 soggetti su 100 con Covid-19 svilupperanno nei mesi successivi alla fase acuta dell’infezione abnormi livelli di pressione arteriosa. «In considerazione dell’elevato numero di infezioni da SARS-CoV-2 che si registra su scala mondiale, l’insorgenza di uno stato ipertensivo dopo l’infezione è una delle sequele più allarmanti in termini epidemiologici – commenta Fabio Angeli – anche perché espone i soggetti colpiti da questo fenomeno ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari come l’ictus e l’infarto».
Fabio Angeli, Martina Zappa e Paolo Verdecchia sono già autori di altri importanti articoli che spiegano come il Covid-19 generi complicanze cardiovascolari: in questo nuovo lavoro chiamano in causa gli effetti dei frammenti del virus che, permanendo per mesi nel nostro organismo dopo l’infezione acuta, alterano le capacità dei nostri meccanismi regolatori. «Questi frammenti, tra cui le proteine spike, interagiscono con i recettori delle nostre cellule implicati nella regolazione della pressione arteriosa e ne provocano la paralisi, con conseguente sviluppo di ipertensione arteriosa – Sottolinea in conclusione il professor Angeli – Questo fenomeno, poi, è potenzialmente destinato a crescere ulteriormente nel tempo perché le nuove varianti, rispetto alle precedenti, sono più adesive ai nostri recettori e sono caratterizzate da una ancor più spiccata capacità di paralizzarli. Uno screening per verificare i valori di pressione arteriosa nei mesi seguenti l’infezione ed eventualmente ridurli con la terapia per evitare eventi cardiovascolari è oggi una delle priorità della cardiologia preventiva e merita appropriati e specifici percorsi e risorse».
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