Ricordando Piero Bossi: il contadino nomade di Samarate che amava la terra e gli animali
Da giovane lo chiamavano "cowboy" perché per lavorare la terra usava solo i cavalli. All'Ortobiobroggini di Calcinate del Pesce il ricordo di amici e parenti
Alcune persone sono speciali per lo sguardo diverso che hanno nei confronti dell’esistenza e dell’universo mondo. Per la capacità di camminare leggeri al di sopra delle umane debolezze. Per il tacito rispetto che hanno verso gli altri e il creato. Per la capacità di essere coerenti con uno stile di vita che «considera valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordarsi di che» per usare le parole di Erri De Luca poeta.
Una di queste persone speciali si chiamava Piero Bossi ed era di Samarate. L’azienda agricola Ortobiobroggini di Calcinate del Pesce e il Distretto rurale, a 6 anni dalla sua morte, lo hanno ricordato con gli amici e con chi non lo ha mai conosciuto perché a quelli come Piero Bossi si vuole bene sulla fiducia degli altri, per sentito dire o per passaparola. Persino per procura.
Lui non si definiva un agricoltore, ma un contadino. La differenza è profonda. Più del solco di un aratro. Il primo ha una visione industriale che punta allo sfruttamento della terra. Il secondo no, non la sfrutta. Anzi, la cura e ne raccoglie i frutti rispettando i cicli naturali e il suo equilibrio.
IL COWBOY DI SAMARATE
Piero Bossi era conosciuto perché nel lavorare la terra non utilizzava mezzi meccanici, bensì i cavalli, quelli da tiro naturalmente. Una rarità. Tanto che i suoi amici a Samarate lo avevano soprannominato il “cowboy“. Come tutti i soprannomi, anche quello affibbiato a Piero enfatizzava solo una parte della persona, quella più curiosa, non riuscendo a cogliere la grandezza dell’uomo e il suo coraggio. «Alla fine della giornata, preferisco essere stanco ma in mezzo alla natura, piuttosto che stressato su un’auto in mezzo all’autostrada» diceva a chi gli chiedeva conto delle sue scelta.
Piero Bossi amava il cavallo Norico, un animale potente, abituato all’ambiente alpino – perché da lì proviene – e con un buon carattere. Un compagno di lavoro ideale nei boschi e nei campi. «Vanno educati con amore e non con la forza o la violenza. Bisogna accudirli e amarli» ripeteva a chi gli chiedeva come fare a trattare con quei bestioni che arrivano a sfiorare la tonnellata di peso.
PIANO PIANO PIANO
Nel 2011 aveva partecipato a un progetto, promosso dell’azienda agricola Ortobiobroggini che è anche esponente del Distretto Rurale, collettivo per l’arte e l’iniziativa concreta. Il progetto prevedeva l’utilizzo del cavallo nell’intervento di miglioramento forestale realizzato al Parco Campo dei Fiori. Si trattava di spostare tronchi di alberi abbattuti che normalmente avrebbero richiesto l’intervento di mezzi meccanici, che devastano flora e fauna, o dell’elicottero che impatta sui costi e sul livello degli inquinanti.
Naturalmente fu chiesto a Piero Bossi di far parte del progetto con i suoi cavalli. E lui accettò facendo il lavoro a regola d’arte e nei tempi dovuti. Quell’esperienza è diventata un film documentario intitolato “Piano piano piano” (link per vederlo sulla piattaforma Vimeo) prodotto da Filmstudio 90 – il primo dell’associazione fondata da Giulio Rossini – e diretto dal regista Marco Tessaro.
LE TESTIMONIANZE
Nella giornata dedicata a Piero Bossi sono state tante le testimonianze per ricordare quest’uomo speciale a partire da quelle di Luisa Broggini e Massimo Crugnola che con lui hanno condiviso tanto tempo in amicizia e nel lavoro.
Particolarmente commossa quella di Gabriella Bossi, sorella di Piero, che con lui ha vissuto la quotidianità nella cascina di famiglia a Samarate, sempre a stretto contatto con la terra e gli animali. E ancora, gli aneddoti belli e spensierati della giovinezza di Maria Campiotti e Dario Cecchin, amici fraterni di Piero che condividevano le sue scelte e non lo perdevano mai di vista ovunque andasse.
UN CONTADINO NOMADE
Piero era un contadino viandante, soprattutto dopo la nascita dell’aeroporto di Malpensa che, fagocitando molti terreni agricoli nell’area della Brughiera, aveva costretto la famiglia Bossi a ridurre la propria attività agricola.
E così spesso decideva di partire a piedi, con la sua cavalla e i suoi cani, facendo strade secondarie e cercando ospitalità in cambio di lavoro. Aveva amici ad ogni latitudine: dalla Liguria alla Maremma Toscana, passando per il Veneto e la Sardegna. Ovunque andasse stringeva relazioni importanti perché si guadagnava il rispetto con il lavoro e la sua conoscenza della terra. Perché sistemava le cose che non andavano bene senza che nessuno glielo chiedesse e nel modo giusto. E così i sentieri abbandonati diventavano nuovamente percorribili, i campi spremuti dalla chimica sotto le sue abili cure tornavano ad essere fertili. Se c’era bisogno di riparare un attrezzo sapeva come fare e quasi sempre in economia. Dalla semplice ospitalità, per lui e i suoi animali in viaggio, alla fine tutti gli offrivano un vero lavoro. Da queste peregrinazioni che lo tenevano lontano da casa, anche per anni, è nato un bel libro “Quattro animali in viaggio” pubblicato da Leonardo Libri. Un diario quotidiano scritto con Linda De Angelis denso di pensieri e riflessioni.
RISPETTO PER TUTTI GLI ESSERI SENZIENTI
Piero Bossi era sobrio, rigoroso in ogni cosa che faceva. Non conosceva per suo volere il superfluo e non sopportava lo spreco, ma ciò non gli impediva di essere generoso con gli altri. Nel suo peregrinare per il mondo è arrivato anche in Canada e in Africa.
Si racconta che appena giunto in un villaggio africano, chiese ai colleghi cooperatori, che erano lì da tempo, quanti campi seminassero. La risposta fu: “Solo quattro, perché nelle terre vicine al fiume ci sono gli ippopotami che mangiano tutto”.
“Bene allora ne semineremo otto, quattro per noi e quattro per gli ippopotami” rispose serafico Piero.
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