Terra di miti e leggende il mondo delle bocce: Ugo Ulivi e l’aglio pestilenziale
Ipocondriaco e convinto che l'ortaggio era il rimedio a qualsiasi malattia. Gli avversari non resistevano all'olezzo

Non è che amasse molto il suo nome e cognome, quell’assonanza di U lo infastidiva anche ora che era adulto ed era ormai sfuggito alle inevitabili tagliole dell’età adolescenziale dove ogni elemento che uscisse dalla cosiddetta normalità era oggetto di lazzi e di pesanti irrisioni: a scuola era uh,uh per tutti gli scatenati pronti a scherzare su tutto e su tutti e lui ne soffriva, ritenendo la presa in giro gratuita e senza senso.
Il fatto si aggravò in seguito, poiché il soprannome gli era rimasto e qualche antico compagno di studi continuava ad apostrofarlo in quel modo, suscitandogli un concreto astio verso coloro che lo perseguitavano con pertinacia, indifferenti alla sua insofferenza che pure aveva manifestato parecchie volte, ma invano, anzi ciò non faceva che rafforzare l’intensità della punzecchiatura.
Il lavoro non lo consolava più di tanto, poiché svolgeva compiti marginali in banca, era quel che si qualifica come un impiegato d’ordine, quindi lavori ripetitivi, dei quali si poteva dire tutto fuorché fossero di ampia responsabilità e soddisfazione. Gli rimaneva la passione per lo sport, segnatamente per le bocce che praticava con discreti risultati da tempo e costituivano oltre che un divertimento, anche un’evasione da una vita, tutto sommato, per nulla fonte di realizzazioni.
Tuttavia anche qui non erano proprio tutte “rose e fiori”, dato che giocava solo le gare individuali e, anche queste, con parecchie difficoltà, poiché nessuno voleva giocare con lui, né in coppia, né in terna. Cosa interveniva a inficiare la sua pratica agonistica? Il discorso deve essere affrontato da lontano per arrivare a comprendere con esattezza i fatti.
Occorre sapere che l’Ugo era fondamentalmente un ipocondriaco, con un terrore assoluto delle malattie, che sovente erano inesistenti, ma erano solo un parto della sua fantasia: era sufficiente l’affacciarsi di un piccolo, insignificante sintomo di malessere, che, immediatamente, si figurava di essere preda di una congerie di malanni, si precipitava a consultare su internet a quale patologia potesse essere addebitato il sintomo stesso, con il risultato di essere perennemente angustiato.
In queste sue escursioni salutistiche si era imbattuto in una dispensa pubblicitaria sugli effetti benefici dell’aglio, che, secondo quel reportage, era una panacea per un numero imprecisato di mali, pur che fosse consumato, in quantità notevoli giornaliere, crudo, poiché la cottura avrebbe inficiato la sua efficacia.
Venivano citate anche le conseguenze negative, ma Ugo, affascinato dall’aver trovato un rimedio di facile approvvigionamento per la soluzione salutistica personale, si era precipitato ad applicare la terapia “ipso facto”. Solo che il consumo industriale di aglio crudo ebbe come conseguenza di farlo diventare un esponente di primo livello di un alito pestilenziale che saturava l’atmosfera dell’ufficio, tanto che nessuno si azzardava a trattare qualsiasi pratica di persona, ma solo per telefono, oppure attraverso la posta elettronica. Naturalmente non è che l’isolamento fosse limitato all’ambiente lavorativo, poiché le emissioni sgradite erano percepite anche all’esterno, pure a distanza di alcuni metri. Da qui si arriva a comprendere la ragione per la quale nessuno volesse giocare alle bocce in coppia o in terna con lui, soffriva ormai di un’alitosi intollerabile per chiunque avesse un olfatto appena decente, in grado di selezionare odori, aromi o profumi.
Ugo aveva compreso che la sua alitosi allontanava il prossimo, ma la sua malattia immaginaria prevaleva su ogni altra considerazione. Purtroppo, oltre a una solitudine sempre più accentuata, incorreva in un’ulteriore serie di lazzi, tanto che un buontempone in vena di burle distribuì sul lavoro una serie di maschere antigas con le istruzioni d’uso per il loro impiego, allorché si fosse venuti a contatto con il ragionier Ugo Ulivi.
Comunque continuò imperterrito a giocare alle bocce, incurante delle smorfie di disgusto dei suoi avversari e, così affermano i maligni, sembra che molti dei suoi successi dovessero essere imputati alla disperazione degli antagonisti che lo lasciavano vincere, pur di sfuggire al più presto alle sue zaffate mefitiche.
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