“A Malnate un omicidio brutale”, chiesto l’ergastolo per Sergio Domenichini

La pm Valeria Anna Zini ricostruisce i fatti in aula: “Nessun elemento a discarico dell’imputato”

tribunale varese processo domenichini

Puntuale la campana è suonata alle 11 per il giorno delle discussioni in Corte d’Assise che a Varese dovrà emettere a breve il verdetto sull’omicidio di Carmela Fabozzi uccisa il 22 luglio 2022 e per il quale è imputato il 67enne Sergio Domenichini.

A prendere la parola mercoledì mattina la pm Valeria Anna Zini che ha parlato di un “omicidio brutale” e di “nessun elemento a discarico dell’imputato” prima di immergersi nella giornata del delitto, ricostruita puntualmente fin dall’alba di quel venerdì quando il figlio della vittima Angelo Casoli lasciò la casa della madre dove viveva da alcuni mesi causa fine della relazione con la compagna: la sera, al rientro, la scoperta del corpo della madre assassinata con nove pesanti ferite al capo di cui almeno due letali e con tracce di sangue sui muri dell’appartamento “anche proiezioni di gocce piccole, segno di violenza nei colpi portati”.

Un omicidio che lasciò senza parole un’intera città per la dinamica, e per la vittima, “donna per bene, schiva, autonoma, impegnata nelle faccende domestiche e qualche chiacchiera con le amiche: guidava l’auto fino all’intervento alla cataratta”; e per questo beneficiava di trasporti in auto di tanto in tanto da Sergio Domenichini, iscritto all’associazione Anteas di Varese.

I carabinieri si concentrarono su tre elementi per le indagini: la presenza di un uomo sul luogo del delitto (i vicini di casa della donna quella mattina notarono la presenza di un uomo sul ballatoio della casa di Malnate dove abitava la vittima); la sparizione dei gioielli; la sparizione dei due telefoni della donna. E da qui, proprio dai telefoni della vittima, sono stati recuperati i numeri delle chiamate ricevute dalla donna e i militari risalgono a Sergio Domenichini che viene subito intercettato mentre l’uomo è in vacanza a Lignano Sabbia d’Oro. Si risale anche alla vettura noleggiata dall’imputato e si confrontano le immagini dei varchi intorno alla casa di Carmela Fabozzi e il gps dell’auto, elementi grazie ai quali in cerchio attorno all’indagato si è stretto. Grazie al gps l’imputato viene collocato il 22 luglio 2022 a mezzogiorno proprio nei pressi dell’abitazione della signora uccisa.

Alle 10.01 di quella giornata le telecamere immortalano l’auto a nolegggio con una sola persona a bordo alla guida: tra le 9.49 e le 9.54 Domenichini, secondo l’accusa, scende dall’auto e lascia alla guida l’amico Antonio Crisafulli (condannato in primo grado per favoreggiamento personale). Sarebbe in questo lasso di tempo, fra le 10 e poco prima delle 11 circa, che Domenichini avrebbe ucciso (il messaggio alla compagna che lo cercava per sapere se fare le valigie per andare al mare inviato alle 10.48: “tutto a posto, dai, ho la roba in tasca”), per poi andare a vedere la refurtiva al compro oro di Varese e poi dopo aver lavato l’auto ed essersi disfatto dei telefoni, partire per l’Adriatico dove hanno soggiornato in albergo fino al 17 agosto 2022.

Ma i carabinieri del reparto operativo – nucleo investigativo di Varese erano già sullle tracce dell’uomo: lo ascoltavano, lo pedinavano e ne controllavano gli spostamenti oltre a refertare sul posto il dna del sospettato raccolto in una sua “cicca” di sigaretta. L’analisi genetica sul mozzicone ha permesso di estrarre l’elemento genotipico dell’imputato trovato sotto le unghie della vittima; le impronte dell’imputato sono state trovate nell’incavo del vaso impiegato come arma del delitto; inoltre le analisi su impronte latenti in casa hanno evidenziato la suola della stessa marca di quelle indossate il giorno dell’omicidio.

Per l’accusa il movente è chiaro: l’imputato si serviva dell’associazione di volontariato non solo per vivere dei pochi espedienti legati alle mance ricevute (ma non dovute) degli utenti che chiedevano aiuto ad Anteas, «ma anche per individuare potenziali vittime: Carmela era una donna ben curata e ben vestita e chissà quante volte l’imputato ha notato ingioielli indossati dalla pensionata». Dunque, «oltre alla volontà di appropriarsi dei gioielli l’uomo ha voluto cagionare con dolo la morte per avere l’impunità».

La richiesta di pena dell’accusa, che ha mantenuto le aggravanti inizialmente contestate (crudeltà, motivi futili e abbietti, minorata difesa), è dunque chiara: ergastolo, con isolamento diurno di 9 mesi. Il processo è continuato con la discussione della parte civile e l’arringa della difesa dell’imputato che ne ha chiesto l’assoluzione

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Pubblicato il 14 Febbraio 2024
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