Consiglieri di minoranza di Gazzada diffamati dai manifesti, l’imputato chiede la messa alla prova
I fatti si riferiscono ad uno stampato che recava contenuti allegorici ritenuti gravemente offensivi dalle parti offese. Il caso tornerà in aula in autunno
Per i manifesti offensivi rivolti a tre consiglieri comunali di minoranza di Gazzada Schianno si è celebrata oggi, 10 aprile, l’udienza a porte chiuse in tribunale a Varese dove il giudice monocratico, a fronte della promessa di un risarcimento da parte dell’imputato, ha accolto in via preventiva la richiesta di “messa alla prova”, procedimento che, se va a buon fine il programma trattamentale, estingue il reato.
Il caso si riferisce a quanto avvenuto nel paese alle porte di Varese nel marzo di due anni fa, quando cioè i carabinieri della stazione di Azzate ricevettero la denuncia di tre consiglieri comunali di minoranza (Alfonso Minonzio, Francesco Bosco e Stefano Frattini oltre ad una quarta persona) i cui nomi erano desumibili da uno scritto che negli atti di querela viene definito “allegorico” ma che i querelanti hanno denutrito come profondamente lesivo della loro onorabilità.
Un fatto come tanti nelle aule di giustizia, un reato (diffamazione aggravata a mezzo stampa) con una pena non eccessivamente elevata. Peccato che per un ambiente iper locale come un Comune di poche migliaia di residenti, il fatto abbia avuto un’eco enorme, anche perché il soggetto denunciato venne riconosciuto con una certa facilità dalle indagini lampo dei carabinieri che acquisirono le telecamere che inquadrarono targa del sospettato, e pure il suo volto. Lo scritto riportava i nomi di alcuni dei soggetti diffamati, e permetteva di risalire a tutte le persone citate nello scritto che conteneva volgarità, e fatti personali.
Il “caso“ venne alla luce durante un consiglio comunale nel quale venne prima denunciato “politicamente” il fatto, e dunque messo a conoscenza dell’opinione pubblica; e in un secondo momento venne esteso in denuncia. I militari in seguito alle indagini verbalizzarono quanto affermò il sospettato che fu uno dei primi atti dell’azione penale che hanno portato all’udienza di oggi, trattata in camera di consiglio dove le parti hanno avuto un confronto: gli avvocati Veronica Ligorio, Fabio Bascialla e Stefano Borsotti, legali delle quattro persone offese hanno interagito col collega Andrea Febbraro per arrivare alla conclusione di una proposta di messa alla prova accettata in via provvisoria. Con la “map“ avviene la sospensione del procedimento, e l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede come attività obbligatoria e gratuita, l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività che può essere svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.
La misura può essere concessa dal giudice per reati puniti con la reclusione fino a sei anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e per non più di una sola volta, o per una seconda, in relazione a illeciti commessi anteriormente al primo provvedimento di sospensione. È esclusa l’applicazione ai contravventori e delinquenti abituali, professionali e per tendenza. La prossima udienza il 6 di novembre.
A margine della camera di consiglio, Alfonso Minonzio e Stefano Frattini, due delle parti offese intrattenendosi con la stampa hanno fatto sapere che la somma che otterranno (se la procedura andrà per il verso giusto) verrà devoluta in beneficenza: «Non ci interessano i soldi in questa vicenda, ma soprattutto il ripristino della nostra onorabilità e la piena consapevolezza da parte dell’imputato dell’errore che ha commesso». L’istituto giuridico della “messa alla prova per adulti” prevede, inoltre, che l’imputato svolga attività riparative, volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato.
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