Secondo e ultimo disco per una delle migliori band della scena di Canterbury: gli Hatfield & The North
Cominciavano a spostare la loro musica verso il jazz rock.

Ricorderete che abbiamo parlato più volte della cosiddetta “scena di Canterbury”, nonostante molti, anche fra quelli indicati come facentene parte, hanno sempre sostenuto che si trattava di un’invenzione giornalistica. Comunque sia, si trattava di una branca del prog la cui musica non aveva tanto la vertiginosa drammaticità del prog ad esempio dei King Crimson e dei Van Der Graaf Generator, ma si svolgeva come una sorta di flusso musicale all’interno del quale i musicisti potevano spaziare a piacimento: ne erano esponenti tra gli altri i Caravan e gli Hatfield And The North dei quali avevamo visto l’album di esordio.
Strumento forse principe di questo loro secondo e ultimo disco è il piano elettrico Fender Rhodes di Dave Stewart, il cui suono allora contraddistingueva di più i gruppi che suonavano jazz rock (o jazz fusion se volete) come i Return To Forever di Chick Corea. Non a caso, dopo la fine degli Hatfield, parte della formazione creò i National Health, formazione strumentale vicina appunto al jazz rock. Non li seguì il cantante e bassista Richard Sinclair, che voleva seguire la passione per la falegnameria e che da allora trattò la musica come qualcosa per il tempo libero.
Curiosità: negli anni ’90 ci fu anche da noi un certo interesse per i nuovi scrittori inglesi, fra i quali Nick Hornby e Jonathan Coe, che spesso parlanono anche di rock essendo degli appassionati. Il libro forse più famoso di Coe fu intitolato come questo disco – in italiano tradotto “la banda dei brocchi” – essendo lui un fan del gruppo.
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