“Il mi’ babbo e quel bisnonno ‘couboi’“: così Cavona è diventata capitale del film western
Nella romantica frazione di Cuveglio è arrivata una grande collezione di film di indiani e cowboys ospitata nel l’American Southwest Museum. Tutta colpa del mito di una famiglia con le radici sugli Appennini, dove si parla, e si scrive, il toscano

«Mi ricordo he tuo nonno raccontava…». Il camino, un bicchiere di vino, le castagne e tanta storia di famiglia che passava sempre da lì, dalla presenza, fra gli avi, del nonno cowboy, anzi, “couboi”, pronunciato proprio alla toscana.
È cominciata così la passione di Giovanni Giannelli originario di Antella (Firenze), classe 1950 e mancato qualche anno fa, per i film western. Passione comune a milioni di bambini di quella generazione che si sono visti passare prima in bianco e nero poi a colori pellicole più o meno famose con diligenza, saloon, indiani e cowboys: primo riflesso in celluloide di una cultura fatta anche di riferimenti passati per fumetti e generi letterari. Ma in casa Giannelli c’è dell’altro. Ed è il motivo per il quale l’American Southwest Museum di Cavona ha ora la sua raccolta composta da circa 1.000 film western, realizzata nel tempo proprio da Giovanni Giannelli, mancato ormai da cinque anni, a quasi settant’anni d’età: toscano di Ripoli (FI), ricercatore del Cnr, grande amante del West americano e del calcio dilettantistico, negli anni aveva registrato su supporto Vhs un migliaio di film western in lingua italiana, trasmessi in Tv; per ogni film aveva realizzato una scheda tecnica, creando una poderosa e unica raccolta nel suo genere.
Questa donazione è molto interessante da un punto di vista archivistico per il museo e in futuro potrà essere consultata in loco da studiosi e appassionati. La collezione è stata donata dalla vedova, signora Donatella Luglioli e dai figli Cecilia e Leonardo. Ma perché così tanti film western? Perché questo pallino del signor Giannelli (nella foto qui sotto)? È proprio Leonardo, il figlio, a raccontare con un registro che ha nel toscano il suo dna, dal principio alla fine.

«“Nonna ma perchè ibbabbo l’è fissato coll’indiani?”. “oh Nini icché ho a ditti, perché prima la domenica facevan sempre i cine alla Casa di Popolo, e lui da piccino ce lo portavo, e gli garbavino i firmi quelli uester, quelli coll’indiani e ‘couboi” Spiegazione semplice e schietta della nonna Miranda, ma la realtà é sempre più complessa e ramificata, sostanzialmente radicata in una stirpe nata nella rabbia della polvere e nello sconforto della sopravvivenza. D’altronde quando il trisnonno era un cowboy, anche se lui non sapeva di esserlo, la storia si rincorre tra assimilazioni e parallelismi», comincia a raccontare Leonardo; racconta del trisnonno Giovanni, bisnonno di suo padre Giovanni, omonimi per rimando generazionale.
«Emerge a fine Ottocento dalle fratte dell’appennino toscano; nell’arte del campare dicono fu molte cose, ma un fatto avvenne che ne fece di lui due uomini e due sepolture. Un malo giorno come tanti, era a caccia di frodo sui monti col suo amato fucile per dare sussistenza alla magra famiglia, quando due gendarmi lo individuarono; lesto li affrontò precipitandoli in un burrone ed entrambi perirono inghiottiti dalla disgrazia. In un accordo forse forzato con il prete della zona, fu inscenato un finto funerale, e nella notte tutta la famiglia, con bestie, carri e mucche se ne fuggì da quelle guglie amare verso la prateria della piana di Fiorenza. Qui Giovanni con l’ingegno ricominciò mezzadro, ma più gentile nell’animo espiato di chi era già morto una volta, senza però mai abbandonare il suo caro fucile».
«E che dire di suo figlio, nonno Adamo, un altro soggetto forgiato nel sudiciume e nella violenza del primo Novecento. Lui non sarà stato un cowboy, ma da Alpino sopravvissuto ad anni di scontri sulle trincee austriache poco si discostava da una giubba blu. Tra l’altro aveva una vena da sceneggiatore, narrava le storie per aneddoti eldetici; riferito a tali falangi mancanti e perse durante emblematico assalto alla baionetta: “Lui mi ha preso un Dito, Io gli ho preso la Vita”. Malguasto sangue non mente, ed Adamo coi denti già si era emancipato diventando bifolco, il gestore dei buoi, per il signorotto locale, tal Conte Peruzzi che promosse questa famiglia di anarchici imbestialiti per tenere a bada il suo contado».
«Ed eccoci al nonno Bruno, il babbo di Giovanni che divenne fattore e braccio destro del Peruzzi, girava a cavallo, con un nuovo fucile; e da centauro conquistò Miranda, la bella del paese, e venne Giovanni.
L’era mezzadrile era alla sua fine, e giunse il momento della svolta quando un’entratura del Conte permise l’ingresso di Bruno nell’Istituto Agrario e la famiglia svoltò nel mondo moderno».
«Mio padre Giovanni nasce nel passaggio tra questi universi, tra antenati briganti e mandriani, sparatori di frodo e di umani, combattenti poeti in baionetta, cavalli, pallottole e praterie toscane di un mondo che non c’è più ma riecheggia nei film. Violenza e libertà. E se tutti i suoi eran stati cowboy, lui era l’indiano».
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