La Resistenza è una. Con tante radici e profonde, anche in provincia di Varese
Dai preti arrestati nel 1927 agli operai socialisti e comunisti cattivi clandestinamente nelle fabbriche, la lotta antifascista anche in provincia di Varese fu multiforme, racconta Claudio Mezzanzanica

La Resistenza è una sola.
Sono state diverse le motivazioni, i percorsi e gli ideali che hanno spinto donne e uomini a parteciparvi. Le radici di questo patrimonio ideale affondano nella storia sociale del paese (Nella foto di apertura: giorni della liberazione in un paese del Nord Milano).
Nel mondo cattolico ci sono due filoni che riconducono all’antifascismo prima e alla lotta armata dopo. In primo luogo ci sono i militanti laici e il clero che hanno condiviso l’aspirazione democratica di Don Sturzo, allontanato dall’Italia negli anni Venti al consolidarsi del potere di Mussolini.
Questi uomini e questi preti furono una presenza importante anche in provincia di Varese.
A Vedano Olona, nel 1927, Don Maddalena fu arrestato assiema al diacono perché accusati di operare per ricostruire il Partito Popolare. Restarono in prigione sette mesi e l’oratorio fu chiuso. A Cislago l’intransigenza di Don Vismara provocò addirittura un incidente tra lo Stato Italiano e il Vaticano. Il fascismo chiese direttamente al Vaticano il suo allontanamento da quella parrocchia perché i giovani partecipavano alla vita dell’oratorio e nessuno a quella delle associazioni fasciste. Nel 1931 fu perfino sospettato dai carabinieri di avere organizzato uno sciopero contro la riduzione delle paghe alla tessitura Ogna e Candiani. La sua figura influenzò anche le parrocchie del circondario tanto che l’oratorio di Origgio fini per essere chiuso nell’estate del 1931 perché “troppo vicino” alle posizioni di Cislago.
Dopo i Patti Lateranensi del 1929 il regime, nel 1931, sciolse l’Azione Cattolica.
La dittatura sospettava che questa associazione, diretta anche da molti laici, effettuasse una serie di invasioni di campo nelle prerogative del PNF, soprattutto in campo sindacale. La chiusura fu accompagnata dalla solita campagna di violenze. A Busto Arsizio vennero invasi e distrutti gli oratori di Borsano e Sacconago. A Gallarate il presidente dell’Azione Cattolica venne subissato di escrementi sulla pubblica piazza. Questi episodi aprirono gli occhi ai numerosi giovani che ruotavano attorno agli oratori.
In un documento degli anni ‘40 i dirigenti bustocchi della Brigata Alfredo Di Dio, che in zona contava più di mille uomini, scrivono:
Alcuni potrebbero chiederci il perché, come cattolici, decidemmo di costituire i gruppi armati. Ma perché molti di noi attendevamo da tempo il momento propizio per la riscossa, soprattutto dopo i fatti del 1931 con le persecuzioni della dittatura, lo scioglimento delle organizzazioni giovanili, calpestati i nostri vessilli, bruciati i nostri oratori, picchiati dalla milizia i sacerdoti e gli esponenti più in vista. Eravamo il manipolo di chi non credette mai al consolidamento definitivo della dittatura, neppure dopo l’ubriacatura del falso nazionalismo seguito all’impresa africana ed alla proclamazione dell’Impero
Accanto agli uomini che furono antifascisti perché legati alla esperienza sturziana troviamo quindi una nuova generazione che scopre sulla propria pelle la natura del regime mussoliniano e si schiera nella lotta partigiana, accanto alle altre correnti di pensiero, sia in montagna che nella clandestinità cittadina.
C’è poi la memoria delle donne e degli uomini che si rifacevano alla tradizione comunista e socialista.
È questa la tradizione antifascista che non ha bisogno di maturare una decisione. Subito dopo la marcia su Roma, pur subendo sconfitte e repressioni, questa parte della società tenta di organizzarsi dentro e fuori il Paese per combattere il fascismo. È una lotta che non si può misurare solo con il numero dei condannati al confino, alla prigione o costretti all’espatrio. Se per i cattolici l’oratorio è il luogo dove si può far vivere il sentimento antifascista, è soprattutto la fabbrica il teatro dove avviene una trasmissione di esperienze, ricordi e storie legate a quella tradizione politica. In fabbrica nascono spontaneamente episodi che alimentano il sentimento di opposizione al regime e la speranza di una società diversa.
In un rapporto di polizia redatto a Milano nel 1936, anno di inizio della guerra di Spagna, si legge:
Le classi operaie sono quelle sulle quali gli avvenimenti spagnoli hanno fatto più presa… e in alcuni operai c’è un inconfessato senso di solidarietà coi comunisti spagnoli. L’eco della rivoluzione ha risvegliato la loro sopita ‘lotta di classe’
Non solo quindici anni di regime non hanno prodotto un consenso nel mondo del lavoro ma un evento lontano dall’Italia rivela il vero sentire dei lavoratori. E già a partire dal 1941 iniziano scioperi che hanno come protagonisti proprio quei giovani men che ventenni che dovrebbero essere i figli del regime.
Alla cartiera Mayer di Cairate, alla Officina Carabelli di Solbiate Arno, alle Officine Meccaniche Galileo di Angera ragazzi tra i 14 e i 18 anni sciopereranno spesso soli contro le inaccettabili condizioni di lavoro e la fame. “Vietato il lavoro a chi non mangia” scriveranno sul loro striscione quelli della Carabelli.
È nella fabbrica che la tradizione socialista e comunista orienta l’opinione delle persone, prima ancora che lo faccia l’organizzazione clandestina dei partiti. E se i combattimenti dei venti mesi di partigianato sono una grande cosa, gli scioperi nelle fabbriche sono altrettanto importanti per la caduta del regime fascista. Secondo i calcoli dei tedeschi almeno quarantamila operai vi parteciparono, nel solo 1944.
La sconfitta della dittatura fascista, obbiettivo unitario della Resistenza, non è l’unico risultato dei venti mesi di lotta. Dopo il 25 aprile è nata un’altra Italia. Più inclusiva, basta pensare al suffragio universale. Non solo le donne hanno potuto votare ma sono definitivamente finite le discriminazioni di censo che anche nel fascismo limitavano il voto maschile. E’ stata varata una Costituzione che ha permesso al paese di crescere sia sul piano civile che su quello economico.
La Resistenza italiana, proprio perché è stata una, ha permesso un salto di civiltà a questo paese.
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