“In provincia di Varese mancano i locali per artisti emergenti?” Cosa dicono gli addetti ai lavori

Una domanda che abbiamo raccolto più volte da artisti e dal pubblico. Abbiamo dunque provato ad analizzare la scena musicale del Varesotto, allargando lo sguardo e chiedendo l'opinione ai Magazzini Tumiturbi di Varese e il Circolo Gagarin di Busto Arsizio, due dei principali centri d'aggregazione culturale alternativa

Locali musica - immagine generica

In provincia di Varese c’è ancora spazio per la musica degli artisti emergenti? Oppure si sopravvive a fatica, tra difficoltà economiche, disinteresse del pubblico o, peggio, indifferenza? Sono domande che ritornano spesso: nelle interviste raccolte (su VareseNews e non solo), nei dialoghi tra gli artisti, nei backstage e negli after-party dei concerti.

Che qualcosa sia cambiato negli ultimi 10-15 anni è evidente. Il territorio ha assistito a una progressiva scomparsa o trasformazione di centri di aggregazione (culturale e non), in particolare fuori dalle città varesotte. Alcuni hanno chiuso senza essere sostituiti, altri hanno cambiato gestione, con un cambio di rotta netto sulla loro identità, altri ancora sono invece nati in tempi recenti o da poco hanno inaugurato una rassegna dedicata proprio ai musicisti indipendenti, come la rassegna Germogli.

NON UN GIUDIZIO MA L’INIZIO DI UN DIALOGO CON LA SCENA VARESINA

In queste colonne, a cui potrebbero seguire nuove puntate (o eventuale rubrica) se fosse utile ad aprire un dibattito aperto, si cerca di riflettere, senza verità in tasca, a proposito di quei luoghi in cui la musica – e in generale la cultura non mainstream – di “periferia” resta al “centro”. Escludiamo dunque quei ristoranti o bar dove la musica, o meglio le cover, fanno da sfondo tra una portata e l’altra. Escludiamo pure i festival, che sono e vivono di dinamiche a sé, anche se naturalmente rappresentano buone opportunità per gli artisti del territorio. Ci riferiamo alle sale dei locali che propongono programmazioni continue, pensate, con attenzione e in simbiosi agli artisti del territorio.

L’ECOSISTEMA MUSICALE VARESINO

Ma forse lo sguardo dovrebbe essere più ampio, e la domanda che ci si dovrebbe porre è leggermente diversa, mancano i luoghi o manca una scena vera e propria? Definire la parola “scena” non è facile, ma serve per inquadrare l’intero ecosistema musicale: artisti, pubblico, spazi, comunicazione e narrazione come  in un habitat fatto di creature, clima, terreno, più o meno fertile. Tralasciare questo aspetto sarebbe come parlare di scatole, sparse nella provincia come puntine sulla mappa. L’assioma più naturale che viene in mente è quello: più piccola è la scena, meno è foraggiata, meno locali ci sono. 

In provincia di Varese vivono oltre 850mila persone in 1200 chilometri quadrati. I Comuni sono 138, i locali che seguono questa vocazione – tra snr, srl e circoli – sono poco meno di dieci, nella stima più generosa (quest’articolo non nasce come censimento diacronico). Per loro natura, ma non sempre, i locali sono posizionati in maniera equidistante sul territorio. Si va dal circolo Anpi di Ispra al Black Inside di Lonate Ceppino, estremi “west coast” e “east coast” del Varesotto: da una parte il lago e il VCO, dall’altra il Comasco, passando per il Quarto Stato di Cardano, scendendo a sud verso Malpensa, o ancora, il Circolo Sant’Antambrogio o l’Arlecchino bar a Vedano. Per capire meglio la situazione, abbiamo chiesto un punto di vista a due realtà diverse, sia per posizione geografica, che per natura giuridica: i Magazzini Tumiturbi di Varese e il Circolo Gagarin di Busto Arsizio.

“FAREMMO CONCERTI TUTTE LE SERE”

«Faremmo concerti tutte le sere», raccontano dal Circolo Gagarin di Busto Arsizio. «Ma poi arrivano i limiti: economici, organizzativi, personali. Il 90% dei promoter in provincia lo fa da volontario, come noi. E far uscire la gente di casa è sempre più difficile».

I costi salgono, gli impegni extra-musicali pesano, e la scena musicale si presenta frammentata. Anche la categoria degli artisti emergenti, di cui capiamo le difficoltà e gli appelli lanciati a Materia (altrimenti non saremmo qui ad arrovellarci sul tema), non è esente da critiche: «Spesso quelli che ti chiedono con più insistenza di suonare, poi sotto il palco non li vedi mai. Per fortuna questa non è una regola fissa, ed è invece bello vedere quando c’è supporto e collaborazione tra gli artisti». Il problema, insomma, non è solo l’assenza di palchi, trend comunque in calo, ma la scarsa propensione a costruire una comunità musicale vera e prolifica.

CENTRO E PERIFERIA

Ascoltando le parole di Francesco Castiglioni, vicepresidente del Gagarin, viene da pensare che forse la cultura alternativa a quella di massa, l’underground, si sia dispersa anche nei canali digitali, in logiche algoritmiche. Capita che alcuni artisti si sentano parte dell’underground solo perché nati in provincia, ma abbiano in realtà uno sguardo autoreferenziale, rivolto al centro. E così si fatica a inserirsi, o si ignora come farlo. Capita anche che altri artisti rimangano isolati perché senza voce (di questo ce ne prendiamo la responsabilità noi media) né possibilità di promozione. Senza andare a complicarci la vita con la semiosfera di Lotman, il rap, a causa della grande ondata di popolarità degli ultimi 15 anni e da quanto portato da Massimo Pericolo in provincia, è il genere che probabilmente si trova in questa delicata posizione di limbo, con alcuni sottogeneri da una parte della barricata e altri dall’altra. Ad ogni modo una scena rap in provincia esiste, eccome. E ce lo conferma anche Fabrizio “Pecce” Peccerillo, direttore artistico del Tumiturbi. 

Con il digitale, e le generazioni di nativi digitali, è anche cambiato il modo di entrare in contatto e vivere questa cultura, musicale e non, a volte bypassando gli ambienti fisici, rimpiazzati dalle piattaforme virtuali. Cambiano i fattori che portano un artista ad esprimersi, a fare proprio un genere. Cambia anche il modo di farsi conoscere, cambiano le vetrine, che si spostano sui social anziché diventare ambivalenti. Non a caso oggi ci sono tanti artisti che arrivano a pubblicare (non scrivere, pubblicare) brani, spesso a frequenza anche mensile, senza essersi mai esibiti su un palco, senza aver mai frequentato la scena. Non è una colpa, è un segnale dei tempi.

“SE QUESTO LAVORO FOSSE ECONOMICAMENTE FAVOLOSO QUESTO LAVORO LO FAREBBERO PIU’ PERSONE”

«Le scene si creano nell’underground, mentre nel mainstream ci finisce la musica liquida – continua Pecce -. Penso sia anche questo il motivo per cui nelle serate di “genere”, per noi un esempio è il garage, si muovono tante persone. Sono gli appassionati di tutta la zona che vengono a sentire le band, a volte anche senza conoscerle. Anzi, vengono a conoscerle, perché sono realmente interessati a questa musica».

Non è solo il numero di locali, ma l’efficacia, non sempre garantita (dall’intera scena), di una rete musicale e culturale in grado di durare, rigenerarsi e parlare anche a chi sta fuori. Lo sguardo e il dialogo sono qualcosa di fondamentale: «Quando lavoro alla programmazione – che è diversa da quella Gagarin a partire dal fatto che noi siamo una srl e loro un’associazione – tengo in conto il più possibile anche di quelle altre realtà, tra concerti e party, che meritano spazio e che non hanno – spiega “Pecce”, menzionando i calendari condivisi -. È inutile pestarsi i piedi, al contrario tra organizzatori ci sentiamo e ci confrontiamo, anche per scambiarsi consigli sugli artisti. Rimane il fatto che per tutti è molto difficile fare musica in settimana e i momenti migliori, per lo meno in provincia, rimangono principalmente quelli nel fine settimana. Se fosse qualcosa di economicamente favoloso questo lavoro lo farebbero in molti di più. E invece non lo è, quasi per niente».

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com

 

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Pubblicato il 22 Maggio 2025
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