Sanità di Frontiera Varese è l’unica speranza di cura per chi non ha diritti
A Varese un'associazione che cura chi non ha permesso di soggiorno né medico di base. Medici, infermieri e volontari lavorano da oltre quindici anni per garantire un diritto fondamentale: la salute
Non solo un ambulatorio, ma un punto di riferimento umano, prima ancora che sanitario. Qui opera Sanità di Frontiera Varese, un’associazione composta esclusivamente da volontari che, dal 2009, assiste persone senza dimora e non solo.
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A raccontare la sua storia sono state Rosy Grespan e Giorella Gazzetta, durante la trasmissione Soci All Time di Radio Materia, realizzata in collaborazione con CSV Insubria: un’occasione per raccontare cosa significa prendersi cura di chi non ha nulla, nemmeno una tessera sanitaria.
«Volevamo creare uno spazio per tutti coloro che non hanno accesso alle cure», racconta Fiorella Gazzetta, fondatrice dell’associazione «La malattia non chiede il permesso di soggiorno. Perché dovrebbe farlo la sanità?».
Sanità di Frontiera conta oggi oltre 60 soci, tra cui 14 medici, 10 infermieri, psicologi, psichiatri e un fondamentale gruppo di volontari all’accoglienza. Insieme garantiscono visite, orientamento sanitario, supporto psicologico e accompagnamento agli sportelli pubblici.
Dal 2009 al 2024 sono stati seguiti oltre 1.500 utenti, con una media di circa 700 visite all’anno. Numeri che raccontano una realtà silenziosa, ma enorme. «Non offriamo solo cure», spiega Rosy Grespan, volontaria all’accoglienza. «Offriamo ascolto, rispetto, dignità. Le persone spesso ci abbracciano, piangono. Per molti siamo la prima volta in cui non si sentono invisibili».
Tra i casi seguiti ci sono pazienti oncologici, diabetici, cardiopatici, persone con dipendenze, uomini e donne che vivono in strada o in condizioni estreme. L’associazione ha anche accompagnato alcuni di loro in percorsi di cura che hanno portato a trapianti di rene, cuore e fegato.
Ma oggi Sanità di Frontiera è in allarme. Il rischio concreto è quello di non poter più operare per l’assenza di uno strumento basilare: i ricettari regionali: «Senza ricette non possiamo prescrivere farmaci, esami, visite specialistiche», spiega Gazzetta. «Questo significa che i pazienti finiranno al pronto soccorso per problemi che potremmo gestire noi. Un costo enorme per tutti».
Durante la pandemia, Sanità di Frontiera non si è fermata: ha gestito tamponi, accompagnato persone alla vaccinazione, sostenuto famiglie rimaste senza lavoro o assistenza. E oggi lancia un appello affinché le istituzioni non voltino le spalle. «Il nostro sogno», dice Grespan, «è non essere più necessari. Vorrebbe dire che il sistema funziona davvero. Ma finché non accadrà, noi saremo qui».
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