Elezioni europee - "Berlusconi fa bene a candidarsi". "Nostalgia della politica italiana?, no sto bene a Strasburgo", l'ex sindaco di Milano vuole essere riconfermato, "in Europa facciamo cose importanti"
Albertini: "riportatemi in Europa"

«Al partito spetta l’ultima parola ma c’è la mia disponibilità a ricandidarmi», non ha dubbi l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini: «desidero ripetere l’esperienza di deputato europeo». Ha fatto il primo cittadino della città meneghina per 9 anni, poi è volato a Strasburgo a bordo di 144 mila preferenze «arrivando secondo solo a Zeus», come scherzando definisce il risultato di Berlusconi. Da allora, come spesso capita ai parlamentari europei, è uscito dal sistema mediatico, «sappiate, però, che scomparire dalle pagine dei giornali – dice il deputato Albertini - non significa scomparire del tutto».

Eppure da sindaco è stato sempre sotto i riflettori dei media, non si sente dimenticato?

«Il mestiere del sindaco è quello che comporta il maggior carico di responsabilità, esserlo a Milano addirittura di più. Si è nello stesso tempo il primo cittadino, ma anche il capo della “holding” che controlla il “sistema Milano”, ciò significa dirigere i servizi di una città che durante il giorno vede muoversi al suo interno 3 milioni e mezzo di persone. Con una firma approvavo finanziamenti di miliardi di euro, è normale che fossi al centro dell’attenzione. Tutto questo però non mi manca, penso di aver fatto abbastanza per la mia città»
Nessun rimpianto?
«Assolutamente no, e poi qui al Parlamento Europeo facciamo cose che hanno meno eco, ma non meno importanza»

Ecco appunto, cosa fanno i deputati europei?
«L’attività del Parlamento è importantissima, e la sua ricaduta è enorme. Per dirne una, io, da membro della commissione per l’industria, ho seguito da vicino l’iter di approvazione del pacchetto ferroviario per la tutela dei diritti e degli obblighi dei passeggeri a livello europeo, una cosa che avrà ricadute su milioni e milioni di passeggeri. I nostri provvedimenti spesso possono sembrare di carattere generale, ma di fatto, con la loro trasposizione nelle leggi nazionali, diventano determinanti nella vita di ogni cittadino. La maggior parte delle leggi dei paesi dell’Ue sono recepimenti delle nostre direttive»

E perché allora non si parla mai del Parlamento Europeo?

«Questo dipende essenzialmente da due fattori, uno di ordine “costituzionale” e uno procedurale: non c’è in Europa un governo che cade se non ha la maggioranza in parlamento, questo inevitabilmente riduce il protagonismo dei deputati. Secondariamente c’è un problema di meccanismi decisionali: non si possono mettere d’accordo 27 paesi su un provvedimento specifico, per questo noi forniamo solo delle indicazioni di insieme, stabiliamo un quadro direttivo entro il quale i paesi devono adeguarsi. Faccio un esempio facile: mettiamo il caso che noi deputati approviamo una direttiva che obbliga ad abbattere le barriere architettoniche. Questo provvedimento nell’immediato non cambia niente. Solo dopo che i parlamenti nazionali recepiscono la direttiva, dopo che stanziano dei fondi per attuarla, dopo che stabiliscono quale ente locale deve provvedere, dopo che chi ne viene incaricato attua materialmente la costruzione, queste opere vengono realizzate. Insomma quando un disabile finalmente troverà le opere fatte nessuno si ricorda più che l’input è partito da noi».

Dovrà ammettere però che c’è anche qualche vizietto da parte della nostra politica, spesso le elezioni europee vengono usate come un test…
«Ma sicuramente. Spesso attribuiamo alle europee un significato di mera approvazione o bocciatura dell’operato dell’esecutivo, piuttosto che della popolarità di un ministro o governatore, questo è sbagliato..»

Quindi Berlusconi, che in Europa non ci andrà mai, sbaglia a candidarsi?
«No, in questo caso le cose cambiano. È giusto che Berlusconi, ma anche Di Pietro e gli altri, si candidino. Un leader di partito deve assumersi questa responsabilità, è anche una questione di correttezza. Diverso è per i ministri o i governatori. Soprattutto in un momento di crisi come questo è bene che non si trovino anche impegnati a fare campagna elettorale»

È ancora sicuro, non le piacerebbe tornare in Italia a fare politica?
«Ripeto, sono sicurissimo. Mi piacerebbe invece ricevere ancora la fiducia dei cittadini per un nuovo mandato in Europa».

tomaso.bassani@varesenews.it
Giovedi 7 Maggio 2009