- Viene da Durazzo Entela Metani, candidata a consigliera comunale per il Carroccio alle prossime elezioni. Una storia molto italiana (pardon, padana) di integrazione familiare
Dall'Albania a Golasecca: una "nuova italiana" in lista con la Lega

La Lega Nord non smette di presentare i candidati che non ti aspetti, che sia per il posto di sindaco (vedi Viggiù) o, più modestamente, per rimpolpare una lista locale "di bandiera". È il caso di Golasecca, dove nella lista targata Carroccio compare un nome che suona poco lumbard: Entela Metani. La 35enne è originaria di Durazzo, ma non più straniera: da giugno scorso è felicemente cittadina italiana. In lista  compare insieme all'ingegner Gianantonio Calderara, consigliere comunale già candidato sindaco nel 2004, e a sua moglie Fanny (Francesca De Paoli), presso la cui abitazione vive da molti anni. Si tratta di amici di vecchia data di quel Bruno Specchiarelli, assessore provinciale all'agricoltura, cui la Lega ha affidato l'"operazione Golasecca", inclusiva - secondo i ben informati - di un "cambio in corsa" del candidato sindaco poco prima di presentare le liste.

Una cordata familiare quella leghista a Golasecca? In parte sì. E anche un pizzico multietnica, perchè no. Incontriamo Entela dai Calderara, per i quali è «una figlia», da quando è arrivata in casa loro tredici anni or sono. «Mi sono candidata perchè quelli che conosco io della Lega sono persone di fiducia» spiega la donna, «che si impegnano per il bene di Golasecca. E se posso contribuire anch'io all'amministrazione di questa comunità, mi fa piacere». «Entela non è una che "è venuta qui a fare la domestica perchè non sapeva fare altro"» premette la signora Fanny. «Al contrario: ha una buona istruzione, è una ragazza intelligente, sveglia, informata, parla tre lingue e ha del gran buonsenso. Poteva riuscire in qualsiasi attività, ma qui in casa nostra è lei che fa e disfa, decide e dispone. Ed è la persona giusta per aiutare questo paese. Con i suoi familiari mi sono ritrovata in casa cinque albanesi: e se devo giudicare da come li ho visti lavorare, a volte anche le domeniche, e comportarsi con correttezza, forse devo pensare che si sia un po' esagerato in certi giudizi».

«Sono in Italia dal 1994» spiega Entela. Sposatasi giovanissima, giunse con un ricongiungimento familiare per raggiungere il suo ex marito. Da subito a Golasecca. Alle spalle la vita, per noi non facile da concepire, nell'Albania comunista, un'infanzia all'ombra della figura oppressiva di Enver Hoxha. «Quando morì si pianse, ma sotto sotto si fece festa» racconta. Eppure ha nostalgia, non tanto delle durezze poliziesche e dei rigori ideologici del regime, quanto dell'ordine. Il padre di Entela era direttore di una scuola, la mamma operaia, la famiglia numerosa. «Si camminava tutti diritti allora» ricorda, «si era poveri, lavoratori, e onesti». E un tantino paranoici: il Paese era costellato di patetici bunker a migliaia, a scuola ai ragazzi si insegnava a montare e smontare fucili d'assalto. Ragazze incluse: «ma io ero scarsa in quello, e mi beccai un bel quattro in pagella...».

Entela ha le idee chiare sulla politica del suo paese: lì ha ancora una sorella. «Ramiz Alia aveva tentato una transizione graduale, come quella che volevamo, ma gli hanno tarpato le ali con l'ascesa di Sali Berisha. Con il crollo del regime, dal 1991, improvvisamente si è tolto il coperchio dalla pentola. Prima c'era ordine, dopo sono cominciate le violenze, gli sgarri, le vendette». Durazzo divenne famigerata, tra scafisti e mafie varie. La porta dell'Italia, il grande sogno. «La televisione italiana si guardava di nascosto sotto il regime, tanti hanno imparato la lingua così. Il Festival di Sanremo era l'evento dell'anno...»

Alle dipendenze dei Calderara, dopo un breve periodo di assestamento e la separazione dal consorte Entela si è rifatta una vita a Golasecca, trovandosi, dice, benissimo. «Il paese ha di buono la tranquillità, la gente mi ha accolto bene da subito». Entela ha potuto anche crescere una figlia, oggi quindicenne. Il difficile è stato ottenere la cittadinanza italiana: «Già bisogna attendere dieci anni per chiederla, poi ho dovuto aspettare quattro anni invece dei tre che di norma passano dopo la richiesta. È stato Specchiarelli a darmi la buona notizia, perchè dal Comune ad alcuni mesi dalla concessione ancora non avevo saputo nulla». Le chiediamo cosa pensi del voto agli immigrati di cui si discute ormai da anni. «Cinque anni di residenza come requisito forse sono pochi, ma diciamo che sette potrebbe essere un giusto termine» concede. «L'importante» precisa quando osserviamo che le posizioni della Lega sull'immigrazione sono per la linea dura, «è che chi immigra si renda conto che deve rispettare delle regole, lavorare e seguire la legge italiana con onestà, avere rispetto della casa e del Paese che li ospita. Non puoi fare il padrone in casa d'altri». In compenso puoi far sì che l'Italia (o la Padania, pardon) diventi casa tua. Se la Lega "di lotta" nei paesi avanza candidature "ardite" che sembrano negare quella xenofobia di fondo per cui viene attaccata, la Lega di governo, al contempo, respinge in Libia gli immigrati irregolari che, in testa il sogno dell'Europa, continuano a rischiare la vita attraversando il Sahara prima, il Mediterraneo poi. «Sono cose più grandi di me» dice Entela senza dare giudizi. «Io mi sono rifatta una vita lavorando, da regolare. Però è vero che tanti si sono sistemati e inseriti bene ed erano arrivati da clandestini».

SdA
Martedi 12 Maggio 2009