Busto Arsizio - Carlo Stelluti racconta storie di altri tempi con la passione intatta di un giovane. Il candidato del centrosinistra ha una grande esperienza politica, sociale e sindacale
"Conosco la nostra cittą strada per strada"

stellutiOgni vita merita un film. Quella di Carlo Stelluti, per tutto quello che ha fatto, anche due. Operaio, magazziniere, tecnico, sindacalista, parlamentare e infine sindaco. La sua è una storia di riscatto, di impegno sociale e politico da sempre. È nato a Busto Arsizio nel 1944, sotto le bombe della seconda guerra mondiale. 

«La mia è una storia di povertà. Ho perso mio papà quando avevo cinque anni e mia mamma, operaia tessile, ha dovuto tirar grandi da sola me e mia sorella».
 
Com’è stata la sua infanzia e gioventù?
«La nostra situazione familiare era dura e così, finite le scuole medie, ho iniziato a lavorare facendo un po‘ di tutto. Mentre ero operaio addetto all’avvolgimento dei motori elettrici mi iscrissi all’istituto professionale serale, e nel 1963 presi il diploma. L’allora Vizzola, poi diventata Enel, mi scelse per partecipare a un corso per operatore di centrale termica, finito quello mi assunsero. Era il primo vero lavoro stabile e mi diede la spinta per continuare a studiare, Così iniziai a frequentare l’istituto tecnico e nel 1967 feci la maturità. Intanto mi venivano assegnate mansioni e ruoli sempre di maggiore responsabilità. Quelli furono gli anni del mio impegno sindacale. All’inizio nella commissione interna, poi nella segreteria degli elettrici fino nel 1986 a diventare segretario generale della Cisl per la provincia di Milano. Nel frattempo mi ero iscritto all’università e mi laureai in sociologia a Trento nel 1974 quando ero già sposato e padre di un bambino».
 
stellutiFin qui un percorso degno di un allievo di don Milani...
«Ho un’estrazione cattolica e i miei maestri sono stati proprio il priore di Barbiana, con lui Primo Mazzolari e Giuseppe Dossetti. Oltre a loro hanno inciso in modo profondo Ermanno Gorrieri, ministro del lavoro in un governo Fanfani, e Pierre Carniti».
 
Perché la scelta di un impegno forte nel sindacato?
«Sono figlio unico di secondo matrimonio, ma in realtà ho avuto tre sorelle, una è suora ed ha 97 anni. I miei erano entrambi vedovi e si sposarono in tempo di guerra. Mio papà è morto per un infortunio sul lavoro. La sua vita, nato nel 1885, era stata difficilissima. Venne abbandonato dopo che sua madre morì di parto. Fu adottato da una famiglia di Busto. Con grande fatica si era costruito una piccola posizione, ma per mantenere il negozio avrebbe dovuto prendere la tessera fascista e lui non ne voleva sapere. Così decise di vendere e di partire per l’Africa, ma i fascisti lo purgarono più volte e lo andarono a prendere a Genova per poi spedirlo a fare la guerra in Spagna. Quando tornò a Busto dovette riprendere a fare il garzone, e poi il custode di una scuola. Mia mamma rimase vedova a 27 anni con una bimba piccola. Il suo primo marito è morto in fonderia a causa di una colata di ghisa. Lei mi raccontava le prime battaglie sindacali in fabbrica nel periodo prima del fascismo. Si toglievano gli zoccoli e  battevano sui telai finché il padrone non garantiva piccoli aumenti salariali. 
stellutiTutto questo mi ha segnato. Come facevo a non mettermi a disposizione dei più deboli? Il sindacato è stata un’esperienza formativa e gratificante. Ogni risultato ottenuto era segno di un miglioramento reale per i lavoratori. Poi venne la dura lotta al terrorismo».
 
Fino a quando lavorò a tempo pieno per il sindacato?
«Nel 1994, una volta costituito un bel gruppo dirigente giovane all’interno della Cisl milanese lasciai il mio posto per tornare a lavorare all’Enel come addetto alla sicurezza. Nel 1996 mi chiamò Pierre Carniti chiedendomi di candidarmi per la Camera per i Cristiani sociali all’interno dell’Ulivo».
 
E da lì inizia la sua carriera politica?
«Ma in realtà iniziò molto presto. Da bambino e ragazzo frequentavo l’Azione cattolica ed era poi abitudine entrare nella Democrazia cristiana, ma io non mi trovai bene. In ogni caso in quelle elezioni del ’96 venni eletto nel collegio di Bollate, e feci il parlamentare fino al 2001. La più grande soddisfazione, partecipavo alla commissione lavoro, fu l’approvazione della legge 68/99 per l’inserimento lavorativo dei disabili. Nel 2001 persi per pochi voti e iniziai a lavorare con le Acli e la Pastorale del lavoro con il cardinal Maritni. Poi nel 2005 fui candidato sindaco proprio a Bollate e vincemmo. E da lì iniziò il calvario».
 
stellutiCome mai? Che tipo di calvario?
«Sono stati i cinque anni peggiori della mia vita. Ci fu un rigetto nei miei confronti e un assessore mi denunciò per falso ideologico. Un processo che è durato due anni e  da cui sono uscito prosciolto perché il fatto non sussiste. La vera ragione però è da ricercare nella poca trasparenza di alcuni atti dell’amministrazione. Ci furono molte intimidazioni di stampo mafioso».
 
Cosa successe?
«La spiegazione di quello che stava succedendo la si capisce bene dopo il 14 luglio dello scorso anno quando vennero arrestate 160 persone legate alla n’drangheta. Nelle intercettazioni telefoniche più volte si fa riferimento alla mia figura come non disponibile, e quindi da mettere fuori gioco perché il boss locale non poteva avere le mani libere per fare affari».
 
E lei venne minacciato?
«Subii molte pressioni e per tanto tempo ricevevo telefonate anonime di notte e di giorno soprattutto dopo che decisi di costituire un’azienda in house per gestire gli appalti. Intorno alla mia persona si iniziò a gettare discredito fino a quel processo. Sono contento per quanto affermato dalla Magistratura che ha sancito non solo la mia onestà, ma anche il coraggio di oppormi alla volontà criminale».
 
stellutiE ora si candida a Busto Arsizio. Come mai questa scelta?
»Sono nato qui, i miei genitori erano di qui, mia mamma si chiamava Comerio, una delle famiglie storiche della città. Vivo da sempre qui e così quando me lo hanno chiesto all’inizio ho declinato, ma poi tanti amici mi hanno fatto notare che con tutto quello che avevo fatto in giro non potevo non impegnarmi per la mia città. E così ho accettato questa sfida difficilissima, ma non impossibile».
 
Qual è la Busto dei suoi sogni?
«Nel manifesto della mia candidatura indico dodici ragioni per cui ho fatto questa scelta. Penso a una città piacevole, dove si sviluppi un senso forte di appartenenza ad una comunità, dove l’ambiente urbano sia bello e gradevole, dove l’aria, l’acqua e il suolo non siano avvelenati, dove si possa godere di spazi pubblici accoglienti e di servizi efficienti: una città dove, senza rinunciare ai vantaggi della modernità, risulti preminente l’impiego di nuove fonti energetiche alternative e rinnovabili per conservare e migliorare il luogo in cui viviamo in modo tale da poterlo trasmetterlo più bello, più pulito, più sereno alle future generazioni».
 
La cosa più bella di Busto per lei...
«La semplicità e generosità dei bustocchi. La nostra città ha sempre ospitato tutti. Qui vivono, e si sono integrati benissimo, 13mila gelesi e 4mila stranieri. Oggi assistiamo a una politica egoistica e questo non mi piace. Poi ho un po’ di nostalgia per le vecchie corti che stanno scomparendo. In quei luoghi c’era una grande umanità».
 
La cosa che le piace meno...
«Non saprei... forse un po’ il carattere chiuso».
 
Com’è composta la sua famiglia?
«Sono sposato da 40 anni e ho due figli: Paolo di 38 anni, ha una bambina di due anni e una in arrivo. Lui fa l’informatico. Ivo ha 34 anni, vive ancora con noi ed è laureato in scienze ambientali. Come il fratello conosce la vita dei pendolari perché lavora a Milano».
 
Quali sono le sue passioni?
«Ne ho tante. La più grande è la montagna, scalo da quando ero ragazzino. Sono salito sei volte, per vie diverse, sul monte Bianco».
 
Chi è il più grande dei nostri alpinisti?
«Sono della generazione di Walter Bonatti e quindi per me lui resta un mito. Poi Rehinold Messner. Ricordo che la domenica mattina io mi alzavo alle 4 per andare a lavorare, finivo alle 12 e andavo a scalare al Poncione per imparare. Un’altra grande passione è lo sci alpinismo. Quando ci siamo sposati, con mia moglie abbiamo fatto il viaggio di nozze una settimana sulle Dolomiti per praticare questa comune passione».
 
Oltre allo sport?
«Leggere e viaggiare. Negli ultimi anni ho un po’ lasciato indietro la narrativa e mi sono dedicato alla saggistica. Per quanto riguarda i viaggi prediligo la tenda e ho girato moltissimo in Europa. Amo molto anche la fotografia e ho vinto diversi premi».
Marco Giovannelli
Lunedi 11 Aprile 2011