Gallarate - Stefano Gualandris parla delle sue passioni e delle ragioni che lo hanno portato a candidarsi nella Lega per la poltrona di sindaco. "Sono un federalista convinto ma non abbandono l'idea della secessione"
L’anima leghista e il cuore tra le nuvole
gualandris sindacoGaleotto fu l’aeroporto. Il papà e la mamma di Stefano Gualandris si incontrarono a Orio al serio. Lui faceva il militare nell’areonautica e lei era la figlia del comandante dello scalo bergamasco.
«La passione per il volo - racconta il candidato della Lega alle elezioni comunali di Gallarate -  viene da lontano. Non c’è niente di più bello che veder il mondo dall’alto. Pilotare è un’esperienza che apre il cuore. Per me poi c’è una ragione doppia per questo amore, perché sono legato alle tradizioni e Varese è la provincia con le ali. Gli aeroplani e gli elicotteri si costruiscono qui. Sono contento di essere nel distretto aerospaziale lombardo e vice presidente di Volandia». 
Stefano Gualandris è un uomo che vive di passioni. Non è solo la politica ad animarlo, ma anche lo sport (è stato arbitro e ha praticato tante discipline), l’interesse per il diritto internazionale, il volontariato. Trentatre anni, coniugato e padre di tre figli (Ginevra di 5 anni, Gabriele di 3 e Aurora di cinque mesi).
I nomi dei bambini sono un po’ particolari, come mai questa scelta?
«Sono uno che non ama la banalità e nemmeno le scelte di massa. Gualandris non è facile da coniugare. Con mia moglie però abbiamo scelto dei nomi che avessero un significato. Ginevra è di origine celtica ed è la fata più luminosa. Per Gabriele ci ha illuminato lo spirito religioso pensando all’arcangelo. Aurora invece segue ancora il filone della luce».
 
Com’era lei da bambino e da ragazzo?
«Dovrebbe chiederlo ai miei amici. Comunque ero un casinaro, sempre in giro. Sono sempre stato un caciarono allegro. A scuola avevo delle buone capacità di apprendimento, ma studiavo poco. Insomma giusto l’indispensabile per passare...».
 
Lei parla giapponese e si è laureato in scienze politiche con una tesi sul diritto pubblico internazionale...
«Come in altri campi, ho fatto scelte legate alle mie passioni. Mi interessa conoscere gli ordinamenti giuridici degli stati e quindi poterli confrontare. Il giapponese l’ho studiato all’università. Sono affascinato da questo popolo che ha un forte senso identitario. È un popolo orgoglioso di sé e delle proprie tradizioni. Lo stiamo vedendo in occasione del terremoto. Loro non chiedono aiuto esterno».
 
Lei cita spesso la parola tradizione...
«Si e sono convinto del suo valore. Non mi appassiona la ricerca delle radici storiche millenarie. Chi lo fa avrà le sue ragioni, ma più che i Celti credo il nostro territorio debba guardare al periodo asburgico. Insomma mi interessa la storia degli ultimi secoli perché è da lì che si è formata la nostra identità».
 
A questo proposito, come nasce l’adesione alla Lega?
«Io da sempre sono cattolico, juventino e leghista. Non ho mai cambiato casacche. Sono militante da quando avevo 16 anni e sono sempre più convinto della mia scelta politica. Dentro il movimento e poi nelle amministrazioni ho ricoperto diversi ruoli. Ho iniziato dieci anni fa come consigliere di circoscrizione fino ad arrivare a fare il capogruppo in consiglio provinciale».
 
Ha festeggiato i 150 anni dell’Unità d’Italia?
«Sono stato favorevole al fatto che la Provincia organizzasse manifestazioni per quanti hanno questo spirito patriottico. Io resto un federalista convinto, ma pur avendo un profondo rispetto per quanti credono nell’unità del paese, non ho abbandonato l’idea della secessione e di uno stato padano».
 
Vuol dire che non si sente italiano?
«Sui nostri documenti c’è scritto che siamo di nazionalità italiana e io lo rispetto. In questo momento va bene una forma federalista dello Stato, ma a me piacerebbe qualcosa di più». 
 
Tempo fa, parlando dei bambini rom lei diceva che “chi oggi grida alla xenofobia è lui il vero xenofobo e razzista poiché tronfio della sua condizione di benessere lascia che altre persone vivano in condizioni miserevoli. Non devono esistere cittadini di seria A e di serie B, ma cittadini dello Stato”. Una posizione contraddittoria con quello che la Lega professa. Non le pare?
«No! La Lega non è un partito razzista e xenofobo. Non nascondo che ci siano anche estremisti nel movimento, ma quello che conta è la linea ufficiale. La Lega non ce l’ha con gli stranieri o con i meridionali. L’Italia ha una delle costituzioni più avanzate in Europa sui diritti di cittadinanza. Non è accettabile che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Chi ha bisogno va aiutato, ma multare chi non rispetta le leggi non è razzismo. Noi non dobbiamo permettere a nessuno di sfruttare le persone bisognose. Lo stesso vale per gli immigrati altrimenti si agisce solo per lavarsi le coscienze».
 
Per uno come lei che ha fatto volontariato nella Caritas, non trova che le posizioni della Lega siano cariche di ambiguità?
«Se si affrontano i problemi superficialmente si. Ma proprio perché conosco alcuni fenomeni posso dire che occorre andare oltre la facciata delle cose. Bisogna impegnarsi non per pietismo, ma per tirar fuori le persone dal bisogno. Prendiamo la questione di questi giorni. Spesso non si tratta di veri profughi, ma di clandestini. La xenofobia scatta quando la gente inizia ad aver paura di veder invaso il proprio territorio. Sono smepre più convinto che vadano aiutati ma a casa loro con interventi umanitari che li rendano autonomi».
 
Come ha vissuto il terremoto in Giappone e la guerra in Libia?
«Il primo senza alcuna ansia, ma con un grande senso di vicinanza perché so quanto il popolo giapponese sia gagliardo. Io sono molto positivo, anche di fronte ai problemi e alle tragedie. Non vivo i fenomeni con paura. Quanto alla guerra credo che questa non sia mai giusta e non abbia mai ragioni ideologiche. Sono le scelte e le strategie economiche a scatenarle, altrimenti non si capirebbe perché si lasciano morire tante persone in altri conflitti e poi si interviene solo in Libia. Anche su questo la Lega e Bossi hanno una posizione chiara e molto più attenta alle persone che non altri. Grazie a questo abbiamo influenzato le decisioni del governo».
 
Torniamo al nostro territorio. Lei oggi vive a Biandronno. Come mai si candida a Gallarate?
«Ho accettato una proposta che mi è stata fatta dai vertici del partito. Me lo ha chiesto il segretario Giorgetti e mi sono messo a disposizione. Sono gallaratese  ela mi vita è tutta qui. Vivo a Biandronno da poco perché quando è nata Aurora siamo stati costretti a cambiare casa. Saremmo voluti restare a Gallarate ma la scelta è stata dioversa per due ragioni: i prezzi e perché oggi questa città non è a misura dei bambini».
 
Perché?
«Non c’è un parco ed è stata cementificata tutta».
 
La scelta di andare da soli nasce anche da questo?
«Gallarate è una situazione particolare. Qui non c’è il Pdl con cui siamo alleati. Qui non si può dialogare. E a questo proposito la nostra decisione è chiara. Se andremo al ballottaggio la nostra sarà una corsa ancora solitaria perché non ci sono le condizioni per alleanze con nessuno».
Marco Giovannelli
Giovedi 31 Marzo 2011