Elezioni comunali - Il sindaco Attilio Fontana racconta la sua formazione, la passione per la politica e l'amore per la sua cittą
"A Varese mi sento come fossi in giro in pantofole"

fontana elezioni 2011C’è mezzo secolo di differenza esatto tra Marzia e suo papà. Lei, nove anni, è la più piccola dei tre figli di Attilio Fontana. Giovanni ne ha undici e Maria Cristina 31.

«Il maschio ha preso il nome dal mio bisnonno. Lui era un mito per me. Ho una sua foto a cavallo mentre, nelle terre dell’impero Ottomano, seguiva i lavori della ferrovia dell’Orient Express».
Il sindaco di Varese scherza sulle sue origini tutte indunesi con la sola eccezione della nonna, che era del “Sud”, perché viveva a Gavirate. «Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo dell’infanzia perché passavo tanto tempo a casa sua sul lago».
 
Dove ha fatto le scuole?
«Le elementari ad Induno, e sono state la mia prima lezione di vita. Mi ricordo ancora che i primi giorni di scuola presi tante botte da una banda di ragazzini. Mia mamma, sciagurata, mi aveva vestito come un “fighetta” con il grembiule e il fiocco, e quelli non mi sopportavano. Avevano ragione, e forse anche io avrei fatto lo stesso. Erano anni in cui era ancora forte l’impronta agricola e c’era tanta differenza sociale, ma noi bambini poi siamo diventati grandi amici. Le scuole medie, invece, le ho fatte alla fontana elezioni 2011“Dante” a Varese. Mi sono diplomato al liceo classico Cairoli e nell’autunno del 1970 ho iniziato l’Università Statale a Milano. Anni meravigliosi. Passavamo ore e ore a discutere nei collettivi fino a notte fonda. Pensavamo di cambiare il mondo e ogni giorno si disfaceva e rifaceva tutto da capo. Dopo un po’ però iniziai a stufarmi, perché mi sembrava che tanto parlare non portasse a niente. In ogni caso vissi anche tanti conflitti con mio papà. Lui era un liberale convinto e non la prese tanto bene quando un giorno trovò una copia dell’Unità in macchina. Mi fece una gran lavata di capo».
 
Chi è stato protagonista della sua formazione umana?
«Mio papà, uno zio e diversi insegnanti. Su tutti una di greco arrivata quando facevo il quinto ginnasio. Nei primi compiti mi mise inclassificato perché non sapevo niente. Fu una guerra e all’inizio non l’amai di certo, ma con lei ho imparato a ragionare. Mi ha insegnato ad essere libero e dire quello che pensavo. Mio papà invece mi ha passato l’importanza della coerenza. Lui liberale rinunciò all’offerta fattagli dal senatore Pajetta, suo amico, per candidarsi con il Pci. Per lui era inconcepibile fare una simile scelta. Mica come tanti che oggi passano da una casacca all’altra con disinvoltura».
 
fontana elezioni 2011Com’è nata la sua passione per la politica?
«È qualcosa che ho sempre avuto. A un certo punto all’università abbandonai quel tipo di impegno e mi dedicai allo studio e poi al lavoro. Ho tradito una certa tradizione professionale di famiglia perché mio nonno e mio zio erano farmacisti, mio papà medico e mia mamma dentista. Io, figlio unico, decisi invece di fare l’avvocato. In ogni caso però seguivo sempre il dibattito e non mi perdevo una tribuna politica. Quando nacque la Lega rimasi affascinato da alcuni personaggi e dalle idee a difesa del territorio. Quello che mi colpì maggiormente era una politica che non voleva cambiare il mondo partendo dal consenso».
 
Quando iniziò il suo impegno?
«Ero molto amico di Maroni, e vista la mia attività professionale, tenevo i verbali della SCEDLNO, la società cooperativa editrice Lombardia nord ovest, che fu l’esperienza prima della nascita della Lega vera e propria. Nel 1987 Bossi mi chiese di candidarmi, ma rinunciai. Poi nel ’92 Maroni mi chiese di fare l’assessore all’urbanistica, ma la mia risposta arrivò troppo tardi. Finché nel 1995 venni presentato a Induno e diventai sindaco. Nel 2000 venni eletto in regione e divenni presidente del consiglio regionale. Rieletto nel 2005 lasciai per candidarmi e, una volta vinte le elezioni, fare il sindaco a Varese dal 2006».
 
Lei ha sempre dichiarato il suo amore per Varese, ma cosa le piace di più?
«L’atmosfera. A Varese mi sento come fossi in giro in pantofole, sempre a mio agio, come essere a casa. Amo il centro, il Sacro Monte, mi piace passeggiare per la città». 
 
E cosa non le piace?
«Il clima perché amo il sole e qui ce n’è sempre poco. Poi ci sono atteggiamenti un po’ chiusi».
 
A cosa si riferisce?
«Ci sono ambienti che concepiscono la cultura solo come una questione di elite. Pensano di rimanere asserragliati nei loro fortini. Io ho sposato esperienze anche lontane da me, come i Cortisonici, perché sono realtà vive, con la voglia di fare, impegnarsi, progettare. A me piacerebbe fare grandi mostre, come spesso mi chiedono, ma penso che fare cultura significhi anche valorizzare chi si mette in gioco. Penso che in questi anni abbiamo aiutato mondi diversi a dialogare e rompere alcuni steccati, e questo è molto bello e positivo».
 
Quali sono le sue passioni?
«Il teatro, il cinema  e lo sport: da praticante il golf e da tifoso il calcio e il basket».
 
I giocatori che ha amato di più?
«Aldo Ossola per la pallacanestro. Un giocatore intelligente e che sapeva far giocare tutta la squadra. Per il calcio, il “Jair bianco”: Spelta una grande ala destra».
 
Cosa fa nel tempo libero con la sua famiglia?
«Purtroppo ne ho poco. Mi piace restare in città. Con i miei figli andiamo a passeggiare oppure a sciare. Abbiamo una casa in Versilia e d’estate ci stiamo spesso insieme».
 
Se cerca Attilio Fontana su un motore di ricerca, prima di lei, si trova un uomo di spettacolo. Come la vive?
«Bene. Pensi che quando ero sindaco a Induno mi recapitarono una busta anonima con un giornale porno dove recitava un mio omonimo. Mi avevano scritto: “finalmente ecco la prova della prima volta che Attilio l’ha fatto”. Almeno adesso faccio delle cose più interessanti».
 
Al di là delle battute, lei non ha dimestichezza con Internet e la tecnologia...
«Me ne rammarico, ma è così. È un limite, non me ne vanto e so che posso fare molte meno cose...»
 
A parte qualche contestazione, ha vissuto una bella giornata all’arrivo del presidente Napolitano. Tanti tricolori e lei non indossava niente di verde, ma come la mettiamo con l’idea della secessione?
«Partiamo dal fatto che questa non è un peccato. È un’ipotesi e quando è stata attuata da altre parti del mondo non è successo niente di terribile. Per quanto mi riguarda penso che sia una proposta superata dal federalismo. Ci credo in modo convinto, e penso che il rilancio del Paese passi anche da questo cambiamento. Il federalismo è un mezzo e una responsabilità. La principale colpa dell’Italia è la superficialità che porta a rinviare sempre quello che andrebbe fatto».
 
Oltre il federalismo quali sono i suoi sogni, i suoi progetti?
«Rispetto a Varese il vero sogno è quello di vedere la città tornare a credere in sé stessa senza la paura di affrontare il futuro. Concreta nelle scelte e decisa nel fare. Potremo cambiare solo se si rinuncia agli interessi particolari per quelli generali».
Marco Giovannelli
Martedi 5 Aprile 2011