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#iorestoacasa, con qualità

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24 Marzo 2020

Caro direttore,

mi chiamo Sofia Colombo e sono un’educatrice professionale.
#iorestoacasa è il mantra di questo periodo: meno di quanti dovrebbero lo stanno rispettando; vedo ciò che accade in giro per le strade quando la mattina o il pomeriggio esco di casa per andare al lavoro… e trovo la cosa oltremodo ridicola. Sì, esco di casa perché no, non ho potuto smettere di lavorare.
Non sono una dottoressa o un’infermiera, ma una semplice educatrice professionale che si prende cura di coloro che abitano in una comunità socio-sanitaria per persone con disabilità grave.
In queste poche righe vorrei raccontare un po’ tale spaccato di vita molto delicato e affascinante, pur nella sua semplicità, anche per far comprendere come tutti debbano fare la loro parte perché fondamentale per chiunque, nessuno escluso.
Ebbene, cosa dire? La vita al di fuori della comunità si è improvvisamente bloccata e non è stato facile far comprendere a noi stessi e alle persone che aiuto gli eventi che di punto in bianco ci hanno schiacciato. Tutti noi sappiamo quanto sia effettivamente difficile sopportare questa situazione: chiuderci in casa, non avere contatti, fermare la nostra vita… ma lo stiamo facendo anche noi, disabili e non. Non è facile, affatto, ma è importante perché ammalarsi è pericoloso già per chi sta bene, ancora di più per chi assume decine di farmaci al giorno.

Le prime settimane sono state le più complesse: spiegare perché da un giorno all’altro fosse diventato vietato abbracciarsi, darsi la mano, darsi il bacio della buonanotte, andare a Messa la domenica in chiesa, vedere i familiari, andare a casa per il pranzo del fine settimana, partecipare alle feste organizzate dai volontari e al Centro Diurno: “Che cosa succede?” qualcuno mi continua a chiedere, a cicli. Cosa dire? La verità ovviamente. Ora tutti sanno che c’è “Il Virus” e che per un po’ dovremo rimanere chiusi in casa, senza fare tutto ciò che facevamo prima: “Lo facciamo anche noi operatori, non soltanto voi. Ci vedete entrare e uscire, ma è solo per poter venire qui. Fuori è tutto chiuso e quando usciamo da qui anche noi restiamo chiusi in casa perché non vogliamo ammalarci e farvi ammalare. È una cosa importante”; questa spiegazione basta, è chiara, loro si fidano, ma resta faticoso accettarla.

Le date di fine quarantena cambiano, ma noi aspettiamo come tutti. La paura c’è, soprattutto da parte di chi è “cognitivamente alto” (usando un gergo tristemente medichese), ma l’angoscia è presente anche in chi ha un po’ meno la concezione reale di tutto il caos che sta avvenendo. Le nostre giornate passano lentamente, sperando che a nessuno da un momento all’altro venga la febbre, e gli ospiti sono pazienti in un modo che mai avrei immaginato: sanno che c’è qualcosa che non va, che non è un capriccio degli operatori questa situazione; e da parte nostra, degli operatori, non nascondiamo nulla, li riassicuriamo e stiamo accanto a loro, supportandoli e cercando di ricreare una sorta di normalità… quella normalità che persone come loro avevano faticosamente conquistato e alla quale hanno dovuto rinunciare, come tutti.
Ma non ci perdiamo d’animo: stiamo a casa, facciamo attività tutti insieme, li aiutiamo a prendersi cura di loro stessi attraverso piccoli gesti, riordiniamo insieme gli ambienti della casa, giochiamo, ridiamo, cuciniamo, ascoltiamo musica e parliamo.
Siamo una famiglia e tra momenti di serenità e qualche normale litigata, diamo senso alle ore. L’unica regola è “non fare tanto per fare”: vogliamo prenderci cura del tempo, far sì che sia qualitativamente valido.
Ora vogliamo e dobbiamo resistere alla quarantena tutti insieme con la speranza di rivivere al più presto la normalità, dove potremo tornare ad abbracciarci e a darci il bacio della buonanotte senza il pensiero che qualcuno possa stare male.
#iorestoacasa, con qualità.

Sofia Colombo

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