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La scuola andrebbe ricostruita dalle fondamenta

Rientro a scuola Arsago Seprio
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23 Maggio 2022

Come possiamo garantire un’istruzione di qualità, un apprendimento lungo tutto l’arco della vita e maggiori opportunità per tutti? Questo elaborato vuole essere interpretato come una produzione saggistica attorno all’apparato scolastico, del quale sono io stesso un ingranaggio.

Prima di approfondire le modalità con le quali è possibile garantire un’istruzione di qualità, a mio avviso, è doveroso comprendere a pieno il ruolo che ricopre la signora scuola sul panorama complessivo.

Entrando nel vivo del discorso, vorrei soffermarmi sin dall’inizio nel richiamare l’attenzione del lettore limitatamente ai termini che sono stati adoperati nel quesito prima citato: si è optato per l’utilizzo del verbo “insegnare”, e non “educare”! E ciò è a dir poco preoccupante. Sebbene possano sembrare sinonimi all’apparenza, in realtà questi due termini nascondono nelle viscere della propria semantica una netta ed incolmabile differenza.

Prima di continuare, ritengo che sia opportuno spendere ancora qualche parola per assimilare quanto è trapelato. Partendo dalle definizioni che ci fornisce il dizionario, “insegnare” ha per significato quanto segue: far in modo con spiegazioni che qualcun altro acquisti cognizioni per compiere un’operazione. Per quanto riguarda, invece, l’intima accezione della voce “educare”, basta rendere noto che essa simboleggia l’azione di promuovere lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche (amore per il bello), e delle qualità morali di una persona. In estrema sintesi, l’educare, spaziando da nozioni scolastiche a rudimenti etici, si fissa aprioristicamente obbiettivi che l’istruire non può neanche pensare.

Ecco dunque che, sotto questa angolazione, le cose si osservano in maniera totalmente differente e, in aggiunta, ci accorgiamo che anche la fatidica domanda “Come possiamo garantire un’istruzione di qualità?” andrebbe corretta. Una alternativa più che degna all’interpellanza sopracitata potrebbe in maniera consequenziale ed inevitabilmente essere: “Come possiamo garantire un’educazione di qualità?”.

Circa la questione di coloro che si occupano – o che perlomeno si dovrebbero preoccupare – dell’educazione delle giovani generazioni, divulgando un messaggio tanto chiaro quanto trasparente, mi duole ammettere che, forse, il mestiere di educare non è per tutti! E l’educazione risulta essere tra gli argomenti sui quali non si può scherzar a cuor leggero! Non tutti i dotti che aspirano alla cattedra sono, a parer mio, propensi ad educare quelli che rappresentano il futuro di una intera società. Ragion per cui, reputo che sia appropriato che venga effettuato un test psicologico ai docenti prima della concessione dell’idoneità lavorativa. In questo modo, si potrà effettuare già una prima cernita per scindere quegli individui che dimostrano la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo degli studenti con profonda partecipazione emotiva da quelli che, al contrario, sono succubi di una lampante mancanza d’interesse nei confronti degli alunni, i quali dovrebbero rappresentare una sorta di “figli acquisiti” per il professore.

A questo punto, vorrei dirigere questa riflessione su altri orizzonti. Innanzi tutto, sono fermamente convinto che la retribuzione di maestri e docenti dovrebbe essere soggetta ad una revisione dal punto di vista monetario. Esplicitando maggiormente quest’ultimo concetto, lo stipendio di qualsivoglia cattedratico dovrebbe essere raddoppiato se non triplicato, dalla scuola materna fino alle università più prestigiose. A questo punto, devo dirlo, riuscirei quasi a percepire l’euforia di quegli insegnanti che pregustano già gli ingenti versamenti sul loro conto bancario ma, ahimè, come direbbe Shakespeare, non è tutto oro quel che luccica. Difatti, adottando questo modus operandi, potrebbe crearsi una saturazione negli organi scolastici ed accademici causata dal numero troppo elevato di aspiranti educatori ingolositi dalle considerevoli retribuzioni. Per ovviare a questo spiacevole inconveniente, risulta pertanto essere necessaria un’ulteriore modalità per vagliare il corpo docente. In primo luogo, nel mio immaginario, ripongo fiducia nel fatto che la precedenza per l’esercizio dell’attività educativa debba essere riservata soltanto a coloro i quali, oltre ad aver concluso un percorso di studi limitatamente alla materia che rivendicano di insegnare, hanno in aggiunta eseguito dei corsi sulle fondamenta delle scienze pedagogiche. In aggiunta, seppur altamente improbabile ed irrealizzabile ma pur sempre auspicabile e sognabile, non credo che sia una idea illogica quella di valutare la possibilità che i docenti svolgano anche lezioni di teatro e recitazione, perlomeno per quanto riguarda le materie umanistiche. Con questa mentalità, coloro che si ritroveranno ad occupare una cattedra, potranno trasformare quest’ultima in un vero e proprio palcoscenico, incentivando gli alunni nello studio di una determinata materia e stimolando il loro interesse nei confronti della lezione. La “Divina Commedia” ed il “Macbeth” risultano, a mio avviso, più affascinanti ed eccitanti ma anche più semplici nel momento in cui lo studio viene affrontato da un educatore che riesce, in un certo senso, a fare teatro personificandosi direttamente in quei versi che hanno garantito l’immortalità ai propri autori.

Ecco che una maggiore retribuzione nei confronti dei professori può essere associata, secondo una legge di proporzionalità diretta, ad una maggiore qualità di apprendimento che potrebbe essere garantita agli scolari.

In conclusione, valuto che la rivoluzione dell’apparato scolastico debba piazzare ancora una pietra miliare. Come è possibile intuire dalla lettura, la figura dell’insegnante di ruolo andrebbe abolita. Così facendo, tutte le cattedre verrebbero percepite in qualche modo come “precarie” e, dunque, ciò andrebbe coerentemente a favorire una sana concorrenza per l’aggiudicazione della vincita di qualsivoglia concorso statale. In questo modo, nel giro di breve tempo, avremo un esercito di super-docenti pronti ad adempiere alla loro missione di educatori.

Analizzata abbondantemente una visione generale del corpo docente, ho intenzione di focalizzare la questione su un’altra tematica di non poca importanza: gli ambienti scolastici. Alla luce del percorso educativo che ho affrontato, sono fermamente persuaso dal fatto che, a mio modo di vedere, le classi dovrebbero essere ridimensionate. Ciò significa estirpare il tanto ostracizzato (ma mai affrontato seriamente) dilemma delle cosiddette “classi pollaio”. Esaminando con maggior cura quest’ultima veduta, ci si accorge che questo modus operanti offre miriadi di benefici sotto tutti gli aspetti. In primis, si garantirebbe un percorso di studi personalizzato e di maggior qualità dato che il docente potrebbe dedicare maggior riguardo a ciascuno degli studenti che si trovano in aula. In secundis, riducendo il numero di alunni per classe si andrebbero a creare più cattedre, ciò significa che i posti di lavoro aumenterebbero esponenzialmente.

Per qualcheduno quanto sta per essere divulgato può rappresentare una ovvietà, ma è comunque funzionale evidenziare il fatto che per realizzare questo tipo di paradigma risulta essere inevitabile costruire più scuole. Qualcuno, a questo punto, potrebbe sentirsi schernito dalla mia affermazione denunciando il fatto che mancano i soldi. Io penso che questi “soldi” non manchino affatto dato che, ieri l’incentivo per l’acquisto di autovetture elettriche come oggi il superbonus 110%, ci interfacciamo quotidianamente con sprechi di soldi pubblici.

L’ultimo macro argomento circa il quale sarei interessato ad avviare una discussione è rappresentato dalla scansione degli orari scolastici. Senza classismo (ci mancherebbe), parlerò dell’ambiente liceale dato che ho vissuto solamente e direttamente questa esperienza.

Affrontando immediatamente l’incognita personificata del cosiddetto “PCTO” (letteralmente: percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) all’interno dei licei, ritengo che quest’ultimo debba essere abolito all’istante. Sia chiaro: sarebbe anche interessante come iniziativa, ma dato che il PCTO così come viene concepito nella maggior parte dei licei non è né orientamento né alternanza scuola-lavoro allora ritengo di poterne fare volentieri a meno. Non concepisco il fatto di dedicare una massiccia quantità di ore di scuola a progetti e progettini futili ed a dir poco deludenti. Un esempio che calza alla perfezione con questa linea di pensiero è rappresentato dal progetto di PCTO che la mia classe ha dovuto svolgere nel corso di quest’anno scolastico: esso è consistito nel creare e nel gestire un account social su Instagram e Facebook. Secondo il mio modestissimo punto di vista, sarebbe più efficiente e anche più razionale se gli studenti venissero spediti in un ospedale, in uno studio notarile oppure in uno studio di architettura per osservare concretamente come si lavora in quegli ambienti semmai sia nell’interesse degli alunni svolgere questo tipo di professioni nella vita.

Proseguendo con le indagini, sono giunto alla conclusione che nei licei bisognerebbe aumentare il numero di ore nel biennio e pareggiarlo al monte ore del triennio. Ciò significa che la settimana scolastica non sarebbe più composta da ventisette ore, bensì da trenta. Queste ore aggiuntive dovrebbero essere adibite allo studio della disciplina filosofica, dato che solamente quest’ultima ci spiega la necessità del processo educativo.

In aggiunta, mi sono interrogato a fondo sul fatto di introdurre o meno un’ora settimanale da dedicare allo studio del gioco degli scacchi. E sono arrivato alla seguente deduzione: non è possibile introdurre un’ora nella scansione settimanale per studiare, od approfondire, la scacchiera dato che in sessanta minuti risulterebbe alquanto improbabile disputare anche solamente due partite da parte di giocatori di livello intermedio.

Ecco che, in estrema sintesi, il sistema scolastico dovrebbe essere sottoposto ad una demolizione da cima a fondo!

Filippo Fugacci, studente del liceo scientifico “Leonardo Da Vinci” di Gallarate

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