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La svastica, la falce e il martello e il rifiuto del marxismo da parte della sinistra

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15 Febbraio 2005

Commentando l’equiparazione tra Stalin e Hitler, rilanciata, assieme alla congiunta proposta di mettere al bando i relativi simboli, da quelle lance spezzate dell’odierna isteria anticomunista, che sono gli esponenti lituano, polacco e italiano del Partito Popolare Europeo, Rossana Rossanda, in un articolo pubblicato dal manifesto giovedì 10 febbraio, ha dato una esemplare lezione etico-politica non solo a quella parte, ma, in modo tutt’altro che marginale, agli esponenti ‘lib-lab’ dell’anticomunismo ‘di sinistra’. Colpisce, infatti, lo stile dogmaticamente ortodosso con cui questi ultimi procedono, dopo aver parificato Marx, Lenin, Hitler e Mussolini, a legittimare, in buona sostanza, un’opzione socialdemocratica a condizione che si collochi sotto un’egemonia liberaldemocratica. Accade così che il ricorso alla nozione di totalitarismo sia sufficiente, per codesti apologeti della liberaldemocrazia (non pochi dei quali rientrano nella seguente tipologia bifasica: studenti antiautoritari negli anni ’60-’70 e cultori della ‘emancipazione accidiosa’ negli anni ’80-’90), a convalidare la condanna senz’appello del comunismo novecentesco e a sottoscrivere, più o meno tacitamente, la proposta di metterne al bando i simboli (come se l’attuale dittatura del mercato capitalistico, la guerra permanente dell’imperialismo ed il ‘pensiero unico’, che ne costituisce il riflesso sul piano sovrastrutturale, fossero quanto di più democratico e di meno totalitario si possa immaginare!). In realtà, ciò che gli attuali ‘termidoriani’ (che pure, a differenza di quelli storici, non hanno un passato di regicidi) cercano di rimuovere e cancellare attraverso la criminalizzazione del comunismo è l’idea stessa della rivoluzione, intesa non solo come rovesciamento dell’attuale società, ma anche come costruzione di una società diversa capace di garantire a tutti la massima libertà perché capace di garantire a tutti il lavoro, l’istruzione, l’accesso alla cultura, la salute e la previdenza.

A chi denuncia i ‘crimini del comunismo’ bisogna invece domandare se sia mai esistita una qualche forza storicamente progressiva la quale si sia affermata senza condurre lotte aspre e sanguinose contro le classi al potere (dalle ‘enclosures’, che la stessa borghesia inglese ha documentato nei suoi Blue Books e Marx ha ricostruito nella VIIª sezione del I libro del Capitale, alla repressione della Vandea, dalla guerra dell’oppio alla distruzione d’intere popolazioni, come i pellirosse, gli afroamericani, gli ‘indios’, per giungere alla guerra quotidiana che il capitalismo conduce contro quattro miliardi di uomini per garantire il benessere di un miliardo di uomini, benessere che, a causa della crisi economica mondiale, per non pochi di questi ultimi è tuttavia sempre più relativo e decrescente). Va detto perciò che nessuna contabilità di tipo quantitativo sui costi delle lotte fra le classi (perché di questo si tratta e non di criminologia) può cancellare la differenza qualitativa tra chi ha lottato e lotta per conquistare una società di liberi e di eguali e chi ha lottato e lotta per conservare o restaurare una società di subalterni e disuguali.

La Rossanda rileva giustamente che “l’anticomunismo non è mai stato così rozzo come oggi, quando l’Urss è implosa e di partiti comunisti non ce n’è che due, forse uno e mezzo in Italia e pochissimi in Europa, e molto meno estesi di quanto sia la destra razzista”; inoltre, soffermandosi sulle cause di un anticomunismo così bestiale, richiama l’attenzione sul “rifiuto del marxismo da parte della vecchia e delle nuove sinistre”, osservando, con accenti la cui inusitata durezza è pienamente giustificata dalla gravità del momento, che “è un fenomeno non solo generazionale quello per cui le vangate di merda gettate sulle vite e il senso dei più vecchi fra noi neppure toccano i più giovani… Esso indica una cesura culturale”. La Rossanda stigmatizza in effetti l’atteggiamento di chi ritiene di potersi legittimare nel ruolo di nuovo ceto governativo al servizio del grande capitale, rinnegando anche la pregressa appartenenza al movimento comunista e procedendo, insieme con le forze clerico-fasciste, alla sua criminalizzazione, o di chi rinuncia perfino a rivendicare, per potersi legittimare nel ruolo di gestore istituzionale, la propria ‘diversità’, ammettendo così di non essere più un comunista ma, nella migliore delle ipotesi, un socialdemocratico. Resta solo da aggiungere che simili manifestazioni di opportunismo ricordano il caso di quei difensori di un comune medievale i quali, nell’assedio che sostennero contro Federico Barbarossa, furono obbligati a difendersi rivolgendo i loro colpi contro i loro stessi concittadini, coi corpi dei quali l’imperatore aveva fatto tappezzare le pareti delle sue macchine da guerra. Comportamento, quello dei difensori del comune, che si potrebbe definire eroico, se non si tenesse conto del fatto che tali difensori avevano consegnato loro stessi i propri concittadini all’imperatore…

Eros Barone

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