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L’Anaconda, una vera famiglia per tutti noi

furgone anaconda
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27 Luglio 2021

Buongiorno,
sono il fratello di una persona disabile ospite del centro residenziale dell’Anaconda di Varese.

Le notizie di queste ultime settimane relative al centro piccoli dell’Anaconda mi hanno colto di sorpresa e non riesco a trovare spiegazioni e più semplicemente delle parole da dire al riguardo.

Quello che so della vicenda è solo quanto scritto sui giornali; inoltre non conosco la realtà del centro che ospita i piccoli quindi non mi permetto di esprimere giudizi o opinioni su situazioni o persone. Ho solo un elenco di desideri, magari scontati, che provo a riassumere:
vorrei che questa vicenda si chiarisse e si concludesse il prima possibile;
vorrei che i piccoli e le loro famiglie trovino presto serenità;
vorrei che tutti coloro che adesso operano all’Anaconda non vedano più messo in discussione il loro lavoro, la loro professionalità e la loro umanità.

Con queste righe intendo testimoniare la mia esperienza personale. Conosco l’Anaconda da quando mio fratello frequentava il centro diurno e tornava a casa alla sera con noi. Lui non è un soggetto facile, ma all’Anaconda hanno sempre saputo gestirlo nel modo migliore e sono sempre stati disponibili ad aiutarci a risolvere i problemi che si possono creare all’interno di una famiglia che vive l’esperienza della disabilità; tutto questo con la massima professionalità ed estrema attenzione alla persona. Da circa 10 anni, cioè da quando non ci sono più i nostri genitori, frequenta il centro residenziale: lì si prendono cura di lui 24 ore su 24 sotto tutti gli aspetti; io cerco di essere presente il più possibile, ma posso affermare che quella ormai è diventata la sua famiglia. Ora lo vado a trovare durante le visite programmate e trovo sempre un fratello sereno, ben curato, contento certamente di vedere un familiare, ma alla fine della visita ugualmente contento di tornare alle sue cose, alla sua camera, dai suoi educatori, …all’altra sua famiglia dove si sente voluto bene, protetto e curato. Prima dell’emergenza Covid tornava da noi qualche giorno nel fine settimana, ma sempre alla sera chiedeva insistentemente di tornare all’Anaconda.

Conosco molte persone che lavorano all’Anaconda: dai vari educatori di riferimento che hanno seguito e seguono mio fratello, al personale che lavora negli uffici di direzione e segreteria, personale ASA/OSS e mi scuso se dimentico qualcuno. Posso semplicemente dire che in tutti loro ho sempre visto delle figure che mettono davanti a tutto il bene degli ospiti. Sono convinto che chi fa questa professione deve avere delle motivazioni che vanno oltre la necessità di avere un lavoro e uno stipendio: ci deve essere una capacità di volere il bene dell’altro non comune. Un genitore di una persona disabile vuole bene a suo figlio e fa di tutto curarlo e educarlo e se possibile per vederlo felice anche a costo di sacrifici e rinunce che non tutti riescono a immaginare. Lo fa perché è suo figlio. Lo fa perché è la vita che glielo chiede. Non ha scelta. Chi, come tutti coloro che a vario titolo operano all’interno dell’Anaconda, sceglie volontariamente o professionalmente di occuparsi di queste situazioni e lo fa nel modo che ho imparato ad apprezzare deve avere dentro di sé qualcosa di particolare: una vocazione, una missione o qualcos’altro che non so come chiamare che gli consente, nonostante tutto, di prendersi cura e di educare l’altro. Questa è l’Anaconda” che conosco e che ringrazio per quello che fa.

Un ultimo desiderio: vorrei che tutti coloro che si occupano della vicenda (da chi scrive sui giornali, a chi esprime opinioni sui mezzi di comunicazione o semplicemente a chi ne parla con conoscenti e amici) lo facciano nel modo più corretto possibile, rispettando l’Anaconda in generale e ciò che questa realtà rappresenta da 40 anni a Varese e provincia nell’assistenza ai disabili gravi e alle loro famiglie, rispettando così i suoi ospiti, i loro famigliari e le persone che ci lavorano.

Grazie

Alberto

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