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Le cambiali di Veltroni

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13 Ottobre 2007

Il re, come è stato più volte detto in questa campagna per le primarie del Partito Democratico, sarà ben presto incoronato. Una regia, non sappiamo quanto attenta, ha voluto che il cerchio si chiudesse ancora a Torino, là dove era cominciata l’ascesa (o la scesa) verso la Segreteria nazionale del partito nuovo, questa volta nella cornice civettosamente consona della splendida reggia sabauda di Venaria Reale.
La sua è sembrata una corsa in solitario, avendo staccato gli avversari già in partenza. E la fuga da ogni confronto diretto con loro ne ha accentuato l’isolamento, spostando l’asse della discussione dalla forma partito immaginata a una sostanziale ipotesi di programma di governo.
Sin dall’inizio l’ecumenismo cardinalizio di Walter Veltroni ha potuto contare, in sostanza, su una sorta di rete di protezione, costituita dall’atteggiamento da “patto di non aggressione” messo in atto dal suo partito.
Digerito con qualche difficoltà il discorso del Lingotto, l’input arrivato dalla dirigenza Ds è stato univoco: tutti allineati e coperti dietro l’unica candidatura del Sindaco di Roma. Consenso tacito anche dalla cresta di petali della Margherita, che facendo buon viso a cattivo gioco, ha preferito concentrarsi sul puzzle strategico delle competenze sulle segreterie regionali del partito nuovo.
Uno dopo l’altro sono arrivati lo stop a Pierluigi Bersani, la poca o nulla visibilità per donne pur in predicato di essere delle outsider, come Anna Finocchiaro o Giovanna Melandri, e il diktat al ritiro anche per candidature più originali e modeste, come quelle a suo tempo annunciate da Furio Colombo per la segreteria nazionale o da Poalo Corsini per quella regionale delle Lombardia.
C’è stata un’enorme apertura di credito politico organizzativo, di cui Veltroni non potrà non tener conto. Una cambiale con troppi avalli, che ben presto sarà presentata all’incasso. Anche per questo va dato atto e riconosciuto il merito a lle candidature di Rosy Bindi e di Enrico Letta, sul piano nazionale, così come a quella di Riccardo Sarfatti in Lombardia, per la Segreteria regionale, di avere sparigliato i giochi. E di aver dato alle primarie vivacità competitiva e ricchezza di contenuti. Allargando, in tal modo e per fortuna, il ventaglio delle opportunità ai tanti che fino ad oggi erano rimasti lontano o esclusi dalla vita politica e dai suoi diversi livelli di partecipazione.

Antonio V. Gelormini

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