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Io, V. e le nostre famiglie uguali e diverse

Cécilie Kyenge campo sinti Gallarate
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22 Dicembre 2018

Gentile Direttore,
io e V.F. abbiamo molto in comune: più di ottant’anni, da sempre cittadini gallaratesi con ricordi infantili che risalgono alla Gallarate dei giorni della liberazione, una mezza dozzina di figli a testa e molti nipoti. Siamo, inadeguatamente ai tempi, d’indole patriarcale e fino a un mese fa le nostre famiglie ci vivevano attorno: l’unico mio figlio non residente a Gallarate abita con la famiglia a Jerago e l’unico mio figlio che non lavora in città fa il veterinario a Cavaria.

Per me è così anche oggi, ma non più per le famiglie patriarcali di V.F. e della comunità di Sinti, da anni sistemate in un campo perso in periferia lungo l’autostrada. Le poche abitazioni, roulotte e case mobili, sono state sgomberate d’imperio per una decisione irrevocabile dell’autorità comunale che alla fine è riuscita a mettere in azione anche lo strumento principe della legalità nei grami tempi che corrono: la Ruspa!

V.F. e altre cinquantotto persone della sua pacifica comunità sinta, fra cui una trentina di minori, sono adesso in albergo, ma alla fine del mese la sua famiglia sarà smembrata e si disperderà chissà dove. Già, la legalità: bollette non pagate, qualche metro di sconfinamento nel prato circostante… Di questi tempi, tali delitti meritano la deportazione e la dispersione di una piccola comunità, tanto più se di etnia sospetta.

Caro V., a te, che conservi nel tuo italiano antiche e nobili parole di diretta derivazione indeuropea, esprimo tutta la mia solidarietà per quanto ti sta capitando, alla nostra età, ma per rispetto dell’autorità comunale in carica non ti richiamerò alla mente l’articolo 7 della mia e della tua Costituzione: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Peraltro la Costituzione è decisamente superata: non nomina mai la Ruspa.

Francesco Aspesi – Gallarate

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