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PD al bivio

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3 Maggio 2013

Caro direttore,
ho letto con interesse la lettera di ROBERTO CAIELLI di ieri ed apprezzo quanto scrive, a differenza di altre in cui ha sempre ostinatamente sostenuto l’APPARATO che ne è il motore propulsivo, a cui – a mio modesto avviso – vanno attribuite tutte le responsabilità dei recenti (e passati) insuccessi. Perché se, come scrive, oggi “il quadro politico è l’opposto di quello per cui il PD chiese il voto”, credo che di qualcuno sarà pure la responsabilità, o no? E aggiunge: “il compito di costruire una proposta alternativa alla destra e a Berlusconi resta tutto intero, si deve ricominciare quasi da zero”. Queste precise osservazioni espresse da un Dirigente (come credo sia R. Caielli) inducono a bene sperare.
Le soluzioni, a mio avviso, passano attraverso gli uomini. Quelli che hanno guidato il P.D. finora, di sconfitta in sconfitta, vanno cambiati. Senza se e senza ma. Perché se si fossero cambiati (o “rottamati”) prima certi autorevoli personaggi che stanno ai vertici del P.D. sono convinto che il Partito Democratico non si sarebbe trovato nella penosa situazione odierna, senza una linea politica CHIARA e sempre incline al compromesso e all’inciucio col Caimano. L’AMBIGUITA’, come si è visto, non paga.
Basta con le scelte calate dall’alto, dei soliti noti che hanno portato il P.D. allo sfascio. L’Italia ha urgente bisogno di un Partito Democratico moderno all’altezza dei tempi, non di un carrozzone -com’è ora – mal guidato dai soliti “carrieristi della politica”! Ha bisogno di UOMINI NUOVI, nel cervello e nell’età; i “vecchi” non devono necessariamente essere “rottamati”: si mettano da parte restando nelle retrovie come utili consiglieri per i loro successori, grazie all’esperienza maturata nel tempo (lasciando ai giovani la scelta se usufruirne o meno, perché di essi è il futuro!).
Il passaggio del testimone da una generazione all’altra non dovrebbe essere traumatico, e non si dovrebbe “rottamare” proprio nessuno (Renzi ha dovuto coniare questo termine ‘provocatorio’ per la constatata “inamovibilità” di certi personaggi, che tanto hanno nuociuto al partito bloccandone il rinnovamento). Se si fossero poste delle REGOLE “DEMOCRATICHE” INTERNE stabilendo, ad esempio, la decadenza da qualsiasi carica ricoperta, interna ed esterna, dopo un MASSIMO DI DUE (o tre) MANDATI (senza eccezioni, cioè senza “deroghe” o quote “riservate” alla Segreteria!) il ricambio sarebbe avvenuto fisiologicamente, e non ci sarebbe stato bisogno di “rottamatori”, come pure se le cosiddette Primarie si fossero svolte democraticamente in un clima più aperto, più “libero” e meno conflittuale (e con meno “furbate”!).
Le scelte dei Dirigenti dovrebbero avvenire su scala più ampia dell’attuale, dovrebbero essere più condivise e partecipate da tutti gli iscritti, come pure le linee programmatiche fondamentali, non “riservate” ad una stretta “oligarchia” che praticamente esclude ogni possibilità di intervento della “base”. Per questo si dovrebbe introdurre all’interno del P.D. un maggior uso di mezzi di democrazia diretta (es. minireferendum interni, “Primarie” serie e non teleguidate per la scelta dei Candidati alle elezioni, sia nazionali che amministrative), ed anche riattivare il dibattito politico nelle Sezioni, sopratutto sulle scelte di politica locale, ora lasciate totalmente in mano ai Dirigenti di partito (che in certi casi pare abbiano perso il contatto con la realtà). Tutti strumenti che, se ben usati, potrebbero riavvicinare l’elettorato al partito e garantire che le scelte siano condivise, ossia rappresentative del pensiero e delle aspettative dei Cittadini.
Mi fermo qui, sperando che qualcuna delle idee sopra esposte possa essere presa in considerazione, per “svecchiare” il P.D. (e non “smacchiare il giaguaro”!) nell’interesse del partito stesso e del Paese. Perché il Partito Democratico oggi è a un bivio: o cambia o continuerà a vivacchiare restando sempre all’opposizione.

Giovanni Dotti

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