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Progresso e cambiamento

Economia generiche
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11 Dicembre 2019

Egregio Direttore,
il declino industriale del nostro paese è un dato purtroppo incontrovertibile e causa di cronaca quotidiana. Nè l’introduzione di una politica industriale nazionale di medio termine, da più parti e da tempo sollecitata a gran voce, avrebbe l’impatto auspicato, se non anticipata da un radicale cambiamento culturale della società nel suo insieme, che imponga prioritariamente creatività ed innovazione, a tutti i livelli e nella più ampia accezione.

Il problema basilare dell’industria italiana è la bassa produttività (-0,3% nel periodo 2014-2018; +0,3% l’anno, contro una media nella zona euro dell’1%).- Continuando su questo cammino l’Italia (ma non solo lei) non potrà reggere a lungo il passo di Cina, India, Usa e di numerosi altri paesi, e si autocondannerebbe al regresso,

1) considerando che il nostro modello economico, data la grande parcellizzazione in piccole-medie imprese, entrato in crisi molti anni fa col procedere della globalizzazione e l’emersione di nuovi competitors, avrebbe richiesto lo spostamento intensivo e su larga scala da una produzione incentrata sulla quantità di prodotto fisico esitato ad un’altra fondata sul maggior valore aggiunto dall’innovazione tecnologica.- Lo Stato da parte sua ha favorito l’affermazione di un capitalismo clientelare, indebitandosi nel contempo per finanziare sia una valanga di sprechi che un welfare al di fuori della sua portata.- I risultati: una lunga stagnazione, certamente e fortunatamente con svariate eccezioni in fatto di competitività, ma in generale con un tessuto di mini-imprese a produttività calante, ed un costo di remunerazione del debito sovrano superiore a quello di tutta la catena dell’istruzione, dalla scuola primaria all’università.

2)Ed è proprio su quest’ultimo tema che si concentra l’origine delle nostre difficoltà: le scuole di ogni ordine e grado sono oberate da rendite di posizione, nelle quali in genere si antepone l’insegnamento (inteso come immagazzinamento di nozioni) rispetto all’apprendimento ( sviluppo condiviso di idee nuove e quindi sollecitazione della creatività individuale).

È oramai indifferibile un cambiamento sostanziale dei nostri atenei, che debbono diventare dei “laboratori di contaminazione”, ovvero luoghi in cui avviene l’incontro/scontro di idee solo in apparenza estranee e discordanti, ed il cui intreccio contribuisce per contro allo sviluppo di concetti nuovi, sovversivi e quindi creativi.- All’estero, in particolar modo nei paesi sopracitati, gli incontri tra docenti universitari, studenti, imprenditori ed esperti multidisciplinari sono prassi quotidiana consolidata, mentre da noi queste interlocuzioni sono ancora troppo poco sviluppate, ed i giovani che riescono a formulare nuovi concetti faticano poi ad elaborarli perché non trovano un humus interdisciplinare che ne recepisca la novità, mettendola a frutto.

L’anno passato sono emigrati più di 25/mila laureati con quale costo, in termini finanziari e prospettici, è facile immaginare.- Essi evidentemente non sono stati in grado di reperire un’occupazione, anche perché hanno trovato posizioni già coperte dalla “sovranità mediatica” e dalla “casta politica”, entità che, monopolizzando ogni genere di attenzione, non fanno altro che adombrare ed anonimizzare il compito e l’importanza degli uomini di scienza.- La società è perciò ingessata, crescono le disuguaglianze, e l’ascensore generazionale procede troppo a rilento.- Le nostre università (ma non solo) vivono probabilmente in modo eccessivo su rendite di posizione e di privilegio, mentre occorrerebbe guardare ben oltre il sapere che ci è stato tramandato e concentrarsi maggiormente su tutte le porte che esso può dischiudere.

Nessuna società può progredire senza conflitto/scambio intergenerazionale: evidentemente c’è qualcosa da implementare, ed al più presto: basterebbe solo saper copiare, traendo profitto dagli esempi che il mondo di offre, e sono davvero tanti.

Con osservanza

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