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Sanremo 2019, giornalisti o “leoni da tastiera”?

Sanremo 2019: la finale
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13 Febbraio 2019

Spettabile redazione,
ci ho pensato alcuni giorni prima di mettere per iscritto le mie impressioni in merito a quello che una volta era il Festival della Canzone Melodica Italiana. Se ne è già parlato molto prima, durante e dopo. Personalmente non ho seguito tutte le serate dall’inizio alla fine. Piuttosto, l’ho visto a ‘spizzichi e bocconi’, sufficienti comunque per farmi un’idea personale dell’evento. Tutto quello che è arte, musica e spettacolo, è soggetto ad una critica personale – almeno da parte dei non addetti ai lavori – Non a tutti piace un brano musicale, una piece teatrale o un quadro.

Senza entrare nel merito del giudizio tecnico, che non mi compete, mi limito a qualche personale considerazione. A cominciare dal fatto che, di anno in anno, la vera essenza del Festival, così come concepito all’origine, si va via via snaturando per tenere il passo con una società sempre più in costante e veloce evoluzione (o involuzione?)

Largo ai giovani dunque. E va bene così. Ma, considerato che la manifestazione diventa sempre più ‘giovane’ dando spazio a pezzi non proprio melodici, forse sarebbe il caso, visto anche i costi di un cotanto evento, allungarla di un giorno creando però due sezioni: quella dei giovani (si eviterebbe il Sanremo giovani) e quella delle canzoni melodiche, filo conduttore dagli anni cinquanta.
Ma veniamo all’edizione appena conclusa: aver escluso la canzone Caramelle inserendo invece Rolls Royce… meglio non commentare per non essere maleducata. Avrei messo sul podio Cristicchi, il Volo e Renga. Parere personale.

Quello che mi ha spinto a scrivere, indipendentemente dalle polemiche portate avanti da Striscia è quanto successo nei confronti del Volo. Insulti gratuiti dalla sala stampa. Questo mi ha fatto molto arrabbiare. Anch’io sono giornalista, da quasi vent’anni. Solo pubblicista però, e ne sono fiera. Perché mi sono sudata il ‘tesserino’, perché ho imparato tutto sul campo e ho lavorato con passione. Pensare che ‘leoni da tastiera’ si celano dietro un tesserino di giornalista professionista, magari assunto da una prestigiosa testata italiana che garantisce uno stipendio e una scrivania, mi convince ancora di più che in questo paese non si fanno le cose giuste, ma solo le cose che interessano e che fanno guadagnare i soliti pochi. Ho sempre scritto su una testata locale che non ha mai ricevuto finanziamenti da nessuno; né dallo Stato, né da qualche partito politico. Ed è stato meglio così: ho sempre potuto scrivere di tutti, dando spazio a tutti, senza restrizioni o ricatti. Come si dice: potrei sparare sulla Croce Rossa senza problemi perché non devo dire grazie a nessuno. Anche la libertà ha il suo prezzo e io l’ho pagato fino all’ultimo centesimo, ma non me ne pento.
Non riesco a chiamare ‘colleghi’ coloro che insultano pesantemente e senza un motivo tre giovani che sono un orgoglio italiano. Un terzetto che porta nel mondo la melodia dello stivale, osannati ovunque. Ma tutti sanno che nessuno è profeta in patria.
Questi ‘colleghi’ si sono dimenticati che un giornalista ha un codice deontologico da seguire? Il giornalista, quello vero, non ha forse il compito di raccontare i fatti nel modo più chiaro e completo possibile lasciando al lettore la decisione di schierarsi da una parte o dall’altra? Sempre nel rispetto degli altri? Cosa ne pensano i pubblicisti come me, che non hanno una scrivania, uno stipendio, ma lavorano con tanta passione, con spirito di sacrificio, nella convinzione che comunque, in questo pazzo mondo ormai precipitato nel caos, c’è ancora una speranza di civiltà, rispetto, senso del dovere?
Luisa Restelli, Giornalista pubblicista

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