Avrei
voluto regalare una maglia rosa al mio direttore. Non l’ho
mai fatto, forse perché facevo fatica ad immaginare un Fausto
Coppi di cento chili in sella a una bicicletta, ma
indubbiamente l’avrebbe meritata. Marco Giovannelli è stato
ed è un vero leader che ha costruito una piccola grande
squadra attorno a sé. E piano, piano (ma non troppo) ha
conquistato i suoi traguardi, successi sudati e meritati, alla
faccia di quelli che si ostinavano a non credere che uno
scalatore “over weight” potesse arrivare in cima al Campo
dei Fiori. Traduco: alla faccia di quanti pensavano che fosse
impossibile creare qualcosa di innovativo nell’editoria
varesina.
Poco più di un anno, mesi
intensi, indimenticabili. Ho lavorato a Varesenews proprio
quando il giornale si apprestava a spiccare il volo. Marco
Giovannelli mi ha letteralmente raccolto dal nulla, una
settimana prima che io decidessi di cambiare mestiere e di
rinunciare a un passione. Del resto, il giornalismo ha il
potere di alimentare le frustrazioni di molti giovani e quelli
che pensavano di vivere tra la cronaca nera di Casale Litta e
quella rosa di Varano Borghi erano tra i primi della lista. A
volte accade, invece, che le cose prendano improvvisamente una
piega diversa.
Varesenews mi ha messo davanti
a un computer e a un bel progetto: da allora, non più
frustrazioni, ma ambizioni, voglia di crescere. C’era tanta
bella ingenuità, ma con le idee chiare. Tra le altre cose, ho
cominciato ad occuparmi di sport e in una provincia che vive
di pane e pallacanestro non era facile inventarsi qualcosa di
nuovo. Ma Varesenews nasceva dai giovani e non poteva certo
accontentarsi di coltivare il solito orticello: si doveva
pensare in grande, Internet lo consentiva. E così, nelle
interminabili riunioni, nelle quali per la verità era la
politica a scaldare maggiormente la voce del nostro direttore,
si è cominciato a pensare allo sport di casa nostra in chiave
meno localistica. È nata così, per esempio, l’idea di
raccontare la Coppa America di vela con le testimonianze dei
varesini che facevano parte dell’equipaggio di Luna Rossa.
In questi progetti, Marco Giovannelli è sempre stato un fiume
in piena, ti travolgeva e ti conquistava: bolina, randa,
tangone erano diventati i miei compagni notturni, mentre
assistevo alle dirette in tivù e comunicavo via mail con la
Nuova Zelanda. Prima di allora sapevo a malapena come si
andava in pedalò, per un mese ho fatto il Cino Ricci della
sponda magra, un Cino Ricci che non sapeva né nuotare, né
remare. Eppure l’entusiasmo del gruppo di Varesenews ti
trasformava…
E dopo la Coppa America, perché
non fare anche il Giro d’Italia? Come e con quali soldi non
importava, contava crederci. È stata la maglia rosa a
dividere le nostre strade, quella maglia che Stefano Garzelli,
settant’anni dopo Alfredo Binda, ha riportato a Varese. Mai
frustrare le ambizioni di un giovane, Marco Giovannelli aveva
insegnato ai suoi ragazzi a non pensare in piccolo.
Oggi racconto il ciclismo: una
volta ispirava Buzzati, Pratolini, Brera e Montanelli, negli
ultimi anni si becca invece i giornalisti che si merita. Avrei
voluto assistere soltanto a momenti esaltanti, lo sport
dovrebbe essere questo, ma ho dovuto scrivere anche pagine
molto tristi. Dal giornalismo di provincia, sono entrato in un
altro mondo con mille cose da imparare, tranne una, che mi
porto dietro da Varesenews: il rispetto per le persone e per
questo mestiere, quello che le “grandi” testate perdono
spesso di vista. Certo, a tutti voi, magari, resta il
rammarico di non aver ancora visto Marco Giovannelli pedalare
in maglia rosa: proverò a convincerlo, lo prometto.
Lorenzo Franzetti |