“Nel lago non c’è più pesce, vi spiego perchè”
27 Aprile 2011
Sono molteplici le lamentele che ricevo quasi quotidianamente sia da parte di pescatori dilettanti che professionisti, che frequentano o lavorano nei grandi laghi prealpini che bagnano la Provincia di Varese. Che provengano da Luino, da Gavirate o da Porto Ceresio quello che si sente è sempre la stessa frase: non c’è più pesce! Possibile? Ma soprattutto perché?
Queste due domande rimbalzano ormai da anni tra Provincia, Università, CNR e chi più ne ha più ne metta. Resta il fatto che la riduzione del pescato, soprattutto quello relativo alle specie pregiate come persico, alborella, lucioperca, luccio, lavarello è sotto agli occhi di tutti. Di certo la risposta al perché non è semplice e comprende una serie di fattori antropici e non che si intrecciano fortemente tra loro. Iniziamo dal passato. Fino alla fine degli anni ’80, molte delle fogne cittadine scaricavano direttamente nei bacini lacustri e nei loro affluenti senza essere trattate, comportando così, da un lato l’inquinamento delle acque e dall’altro un’elevata produzione delle acque stesse. Cosa significa produzione? Significa più alimento per tutti e quindi significa una catena alimentare più ricca che si traduce in un aumento della biomassa ittica. A parte il caso limite del Lago di Varese, dove la scarsa lungimiranza di amministrazioni passate e lungaggini burocratiche, hanno provocato danni che vedranno una soluzione a lungo se non lunghissimo termine, attualmente la maggior parte dei laghi prealpini mostra una buona salute in termini di qualità delle acque.
L’allacciamento della rete fognaria ai depuratori, ha quindi comportato una riduzione dell’apporto di nutrienti che sosteneva la produzione delle acque, si è creato così un corto circuito nel sistema, che si è trovato con molta meno energia da poter utilizzare per il suo sostentamento. Il continuo miglioramento della qualità delle acque ha così influito “negativamente” sulla produzione di tutta la catena alimentare lacustre e quindi anche sulla fauna ittica. Ma ciò non basta a spiegare tutta questa penuria di pesce; infatti dobbiamo pensare che l’uomo lascia sempre una sua impronta sugli ecosistemi anche se non lo vuole fare volontariamente. Ad esempio, l’introduzione delle famose specie alloctone o esotiche, anche se spesso è stata effettuata in modo avventato o per errore, ha provocato e provoca tutt’ora gravi danni alla fauna ittica autoctona, innescando fenomeni competitivi di certo non di poco conto. La più famosa tra queste specie è sicuramente il pesce siluro (S. glanis), di cui si discute spesso anche sui giornali, la quale ormai è presente un po’ ovunque. Esistono poi altre specie, con un minore impatto mediatico, ma che provocano danni spesso ingenti alla fauna ittica autoctona. Come per esempio il gardon, proveniente da oltralpe, che ha in pochi anni (un decennio) conquistato tutti i grandi bacini ed in generale tutte le più importanti acque della Lombardia. Questa specie è una forte competitrice per il pesce persico e per i ciprinidi autoctoni come alborella e scardola. Grazie alla sua grande plasticità riesce infatti ad adattarsi a tutte le condizioni ambientali con molta facilità. Un’altra specie “nuova” sempre alloctona è l’acerina, anch’essa forte competitrice del persico e ormai in forte espansione demografica soprattutto nel Maggiore. L’attacco all’integrità delle popolazioni autoctone dei nostri laghi, oltre che dall’acqua avviene però anche dal cielo; infatti la sempre più massiccia presenza di cormorani e di svassi sui laghi e sui fiumi lombardi è sotto gli occhi di tutti. Il prelievo di pesce da parte di queste due specie di uccelli è davvero considerevole ed è stato stimato intorno alle 90 tonnellate all’anno solo nella Provincia di Varese. Da notare inoltre che gli ultimi dati disponibili danno la popolazione di cormorano in costante aumento nella nostra provincia. Sono convinto che il piano di abbattimento messo in atto dalla Provincia di Varese sia una cosa buona, ma credo che debba essere messa in atto una strategia concertata, non solo a livello inter-regionale ma internazionale, per poter ottenere risultati concreti nel contenimento della specie.
Certo è che non possiamo dare la colpa, di questa situazione, solo agli uccelli o all’acqua “troppo pulita”, anche i pescatori spesso esagerano trattenendo pesce sottomisura, pescandolo in periodi di divieto, ecc… Resta il fatto che il carniere è sempre più vuoto su tutti i laghi!
Se poi guardiamo tale situazione sotto l’aspetto economico, il danno è ancora più grave. Il business che gravita intorno al pesce ed alla pesca, risulta molto ampio e comprende diverse categorie con rapporti strettamente intrecciati tra loro: pescatori-negozi di pesca, pescatori professionisti-ristoranti, ristoranti-turisti, ecc. Se pensiamo, che la produzione ittica di pesce persico del Lago Maggiore si è ridotta dell’80% in 20 anni, il pescatore dilettante non lo pesca, il professionista men che meno e il ristoratore è costretto a comprarlo da altri laghi italiani (Bolsena, Bracciano, ecc..) o alla peggio dall’estero (Romania, Albania, Polonia, ecc…). Tale penuria di pesce quindi oltre che rendere scontenti i pescatori rende anche scontenti i ristoratori ed i consumatori.
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