Non conoscere la storia, questo è il problema
22 Giugno 2011
Caro direttore,
come non detto. Avevo ringraziato Marco C. per aver ricodato l’anniversario dell’eccidio di Fondotoce e auspicavo che il ricordo della lotta per la libertà aiutasse a ritrovare qualche valore fondativo in questo presente difficile.
E invece tutto inutile, ecco che riparte la solita sorda polemica sul "sangue dei vinti", sulle foibe dimenticate o usate come arma di polemica, sui Repubblichini "patrioti", sui partigiani "servi di Stalin" e così via. La storiografia invece luogo per meditare diventa teatro di faide, per fortuna incuente. E anche Marco non vi si sottrae.
Eppure se uno va alla Casa della Resistenza qualche buon libro di storia lo può comparare. E non ne troverà, tra quelli seri, che negano la tragedia delle Foibe e le responsabilità dei comunisti titini, come non ne troverà che riducono la Resistenza aun sequela di episodi di vendetta che nulla hanno a che fare con l’ideale di Pace e Libertà che ha guidato la stragrande maggioranza dei giovani che dalle nostre fabbriche partirono per andare in montagna, per riscattarsi rischiando la vita, invece che arruolarsi a fianco dello straniero, mettersi sotto la bandiera con la svastica.
I partigiani non furono santi, furono uomini. Ha ragione Roberta, diamo pure un’occhiata al libro di Pansa, lo si trova in tutte le biblioteche. Ma ricordiamo che " Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza" Claudio Pavone lo ha scritto ormai 20 anni fa, dieci prima di Pansa. E con ben altro rigore egli ha scritto la grandezza e le cadute di quel movimento che ci ha dato la libertà, trattando senza reticenze tutte le questioni aperte, anche le più scabrose, a partire da quella della violenza.
"Solo un partigiano, archivista per mestiere e storico per vocazione, poteva fare un libro come questo: appassionato e appassionante, documentato fino al minimo dettaglio, radicale nei temi e nelle soluzioni. Onesto." Così ne scriveva al momento della pubblicazione, nel 1991: Marco Revelli.
Pavone non ebbe paura di usare l’espressione ‘guerra civile’ ma spiego bene che nella guerra civile ognuno entrò in base a una libera scelta: e fascisti e partigiani vi entrarono in modi diametralmente opposti, pur nella confusione e talvolta nell’intreccio dei sentimenti (ansia, vergogna, paura, sollievo, senso di abbandono, rancore…). La discriminante principale sta nel rapporto con l’obbedienza e la trasgressione: "Il primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale – scrive Pavone – è implicito nel suo essere un atto di disobbedienza. Non si trattava tanto di disobbedire a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi avesse la forza di farsi obbedire. Era cioè una rivolta contro il potere dell’uomo sull’uomo, una riaffermazione dell’antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù… La scelta dei fascisti per la Repubblica sociale… non fu invece avvolta da questa luce della disobbedienza critica. ‘L’ho fatto perché mi è stato comandato’ sarà, come noto, il principale argomento di difesa".
Quante volte sono state dette queste cose? Ogni volta tocca ripeterle. Ogni volta è come se la storia venisse scoperta ieri. E dimenticata subito.
Solo in Italia succede e ancora non so il perchè…
Poi, per pigrizia, possiamo dare la colpa a Berlusconi anche di questo, ma quando non ci sarà più a chi daremo la colpa? Pensiamoci.
saluti cordiali
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