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Certo che a Seveso si vive, però…

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10 Luglio 2006

Caro direttore

Quella mattina, il 10 luglio 1976, ero a Maccagno per il solito fine settimana con gli amici sulla spiaggia del Lido. Al mio rientro a Seveso il lunedì, non notati nulla di strano e nessuno mi disse nulla.

Solo il mercoledì successivo, venne da me una vicina a chiedermi se potevo andare a vedere il suo orto, perché “l’Icmesa aveva fatto uscire una delle solite nubi puzzolenti” e i suoi ortaggi si erano bruciati. Quelli dell’Icmesa le avevano detto di presentare il conto dei danni che l’avrebbero risarcita. Così era venuta da me, sapendo dei miei studi in agraria. Insomma, mi spettava di fare una bella stima di frutti pendenti.

Andai all’orto – qualche decina di metri quadrati – proprio a ridosso del muro della fabbrica. Subito mi colpì il fogliame completamente bruciato della prosa di fragole. Guardai attorno le altre produzioni, scavai con le mani per dissotterrare qualche patata. Alla fine solo le parti aeree della vegetazione portavano evidenti segni dell’azione di un potente defoliante.Ebbi tuttavia la “sensazione” che l’inquinamento fosse più grave del solito. “Aspettiamo qualche giorno, dissi, prima di dare una valutazione esatta” Nel frattempo arrivò una donna che aveva un altro orto contiguo. Anche a lei i tecnici Icmesa avevano promesso il risarcimento, ma, aggiunse: “Avete sentito dei figli dei Senno? La minore di tre anni era sul balcone quando è uscita la nube e adesso è piena di foruncoli”
Senno aveva fatto le elementari con me e tante partite a calcio all’Oratorio.

Il pomeriggio seguente andai dai Senno. Abitavano in un quartiere di tutti veneti, sorto con l’arrivo dal Polesine degli evacuati, alla fine degli anni ’50. Fecero delle baracche di legno che poi, poco a poco, trasformarono in semplici case di mattone. Non vidi la bimba, ma mi bastarono gli occhi di Ennio, suo padre. Mi bastò vedere le galline trascinarsi sul terreno col collo piegato e le penne arruffate. E il gatto, gonfio, con la pelliccia umida. “Mi stanno morendo tutti gli animali e le vacche non si alzano più da terra. Mi hanno assicurato che me le pagheranno, ma mia figlia non si sa cos’abbia”.
La mia “sensazione” era diventata ormai certezza: quel 10 luglio 1976 a Seveso si compì quello che Maccacaro definì “un crimine di pace”.

La vicenda diossina, la gestione della bonifica, del risarcimento, del monitoraggio sanitario, è stata allora e sempre più in seguito la conferma che la scienza non è neutrale.

La vicenda diossina finì nel sacco dei grandi misteri italiani degli anni ’70.

Da quindici anni mi sono stabilito sul Lago Maggiore, ma ancora capita che qualcuno mi chieda, sapendo da dove arrivo, “Ma a Seveso, si può vivere?”

Certo! Forse che non si può più passeggiare in piazza Fontana a Milano, forse che non transitino più treni alla stazione di Bologna, forse che non atterrino più aerei a Punta Raisi?

Certo che a Seveso si vive, però…

Roberto Stangalini, Tronzano Lago Maggiore

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