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Che cos’è il razzismo e come lottare contro di esso

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14 Luglio 2013

Che un caporione della Lega Nord, quale è Roberto Calderoli, possa definire un ministro della Repubblica italiana, la dottoressa Cecilia Kyenge, più somigliante a un orango che a un essere umano, e che questo individuo non venga immediatamente rimosso dalla carica che riveste al vertice di una delle massime istituzioni dello Stato, è un fenomeno aberrante che può verificarsi solo in un paese che conta un elevato numero di persone che, se non sono razziste, sono certamente anti-antirazziste (esattamente come sono anti-antifasciste). Così, ieri a Treviglio è andata in scena quell’Italia razzista e fascista che ha trovato il suo degno portavoce in un personaggio più vicino al ruolo di ‘Gauleiter’ che a quello di vicepresidente del Senato di una
repubblica democratica.
Sennonché Calderoli non è un soggetto paranoico, ma è prima di tutto un italiano, nel senso che riflette pienamente il razzismo diffuso in questo paese. La riduzione  dell’antropologia a zoologia è, peraltro, il tratto distintivo dell’ideologia razzista del nazifascismo, che è fondata sulla bestializzazione degli esseri umani ritenuti inferiori e sulla costruzione del mostro e dell’alieno in cui si coagula un grumo sporco di paure non controllate. È dunque con l’ottica razzista (e con le sue numerose varianti) che occorre fare i conti, ossia con l’idea secondo cui la razza è fatta di gerarchie: i bianchi in alto e i neri in basso. Bisogna allora ribadire che, in una società capitalistica, la motivazione del razzismo è in primo luogo economica, non meramente ideologica o patologica, in quanto il razzismo serve a introdurre nel corpo del proletariato un conflitto orizzontale fra lavoratori autoctoni e lavoratori immigrati, poiché questi ultimi svolgono oggettivamente la funzione di esercito industriale di riserva contribuendo ad abbassare i livelli salariali ed occupazionali della manodopera autoctona (il che spiega, in notevole misura, la diffusione del razzismo fra gli strati popolari). Il problema pertanto non concerne solo la retorica razzista e fascista della Lega Nord e di altre forze politiche (cosa, questa, che costituisce senz’altro un’aggravante, oltre che un fattore di legittimazione, segnatamente quando tali retoriche provengono da personaggi che siedono sui banchi del parlamento), ma è più complesso e più profondo, poiché mette in gioco un articolato dispositivo di dominio e di sfruttamento che alimenta atteggiamenti e comportamenti largamente diffusi, fra i quali rientrano anche quelle varianti subdole e, a parole, antirazziste del tipo “io non sono razzista ma…”, cui si applica pienamente la massima indiziaria secondo cui “excusatio non petita, accusatio manifesta”.
La verità è che il razzismo è onnipervasivo, esattamente come la subordinazione della forza-lavoro al capitale di cui costituisce un epifenomeno, ed è riconoscibile in atteggiamenti e comportamenti profondamente violenti, che molto spesso non ottengono attenzione dalla stampa e dalla televisione, ma che hanno segnato con una lunga scia di sangue e di lacrime, da Rosario e Castel Volturno sino a Torino e Firenze, la storia del regime di informale ‘apartheid’ esistente di fatto nel nostro paese. Lottare contro il razzismo significa pertanto, in primo luogo, fare i conti con questa storia e con queste implicazioni e, in secondo luogo, non limitarsi alla mera solidarietà, anche se esprimere la solidarietà alle vittime del razzismo è, comunque, un sacrosanto dovere, ma darle un contenuto concreto attraverso un progetto radicale di trasformazione che investa la società nelle sue basi materiali e nelle sue articolazioni culturali, e si rivolga a tutti, bianchi e neri, migranti e autoctoni. In altri termini, la lotta contro il razzismo o è una lotta generale contro lo sfruttamento, la discriminazione e l’imbarbarimento della vita politica e sociale o, semplicemente, non è.

Eros Barone

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