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Come disse Machiavelli: governare è far credere

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12 Marzo 2008

Stimatissimo direttore,

ormai da parecchio sono in Italia a seguire la crisi di governo, la campagna elettorale e ad aspettare le elezioni. Non le nascondo che la cosa più interessante è stata apprendere l’idioma locale. Per il resto si basa tutto su giochi talmente sottili e subdoli da essere di una chiarezza sconcertante, non per nulla siamo nella patria di Machiavelli, che affermava che governare è far credere. Mi permetto di inviarle impressioni e non novità, perché dovrei ripetere con altre parole i racconti dei giorni scorsi. Forse è colpa della lingua che è troppo ricca di vocaboli e di sinonimi se i politici locali rigirano sempre gli stessi discorsi e riescono a mantenere nel vago le loro promesse, in modo che tutti si sentano accontentati.
Prima di venire in Italia ho seguito il suo consiglio, ho riguardato le cronache delle ultime elezioni e ho conversato a lungo con la papera che seguiva la politica europea prima di me. Rispetto ai tempi andati ho trovato alcune costanti e una differenza. Costante è la scarsità di idee nuove, si tende a riciclare le vecchie. La mancanza di fantasia non c’entra proprio. La colpa è del mancato ricambio generazionale. Non capisco se siano incapaci i giovani o se i protagonisti attuali, e anche del passato, si ritengano politicamente immortali e tengano a distanza gli altri in tutti i modi. La diceria secondo cui un partito avrebbe scartato i candidati con tre o più legislature è completamente infondata. E’ stato solo un sistema per far sparire alcuni personaggi storici. Il peggio poi è che per produrre e mantenere in vita un politico si usa il metodo detto . In genere il cursus honorum che porta alle posizioni importanti incomincia con le scuole primarie dove il piccolo politico si dedica a volantinaggi e altre attività di supporto al partito che i genitori hanno scelto di fargli frequentare e dove comincia il suo addestramento formale. Poi, crescendo, proseguono le scuole e l’addestramento e arrivano anche i primi incarichi nel partito, presso fiancheggiatori, o anche a livello politico locale, o almeno nella stessa scuola. Il resto della carriera dipende dall’abilità manovriera del soggetto e dalla sua capacità di trovare gente che lo supporti e spinga. Una volta raggiunto un livello medio il nostro politico diventa inamovibile: resta dove è, aumenta di grado o si muove trasversalmente passando da una poltrona all’altra.
I partiti non possono essere altro che la sintesi delle abitudini dei loro uomini. In passato le scissioni e le unioni venivano motivate con la purezza ideologica. Oggi con la convenienza. Questa diminuzione di ipocrisia è l’unico progresso che è riuscita a compiere la politica italiana in sessant’anni.

Quack

Paperoga

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