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Crisi, Marx spiega tutto

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24 Ottobre 2008

Egregio direttore,

negli ultimi anni la Federal Reserve ha seguito programmaticamente una politica di bassi tassi d’interesse, che, essendo in buona sostanza una politica irresponsabile dal punto di vista dell’ortodossia economica capitalista, ha finito con il creare la bolla immobiliare, ponendo le premesse della crisi attuale. Tuttavia, finché serviva a realizzare lauti profitti e gli investitori erano contenti, ciò a nessuno importava: erano tutti uniti con grande entusiasmo, banchieri ed economisti, nel folle carnevale del fare soldi. Ma la ragione per cui ora si lamentano del fatto che hanno un capitale insufficiente è che gran parte delle loro attività sono fittizie, sono, cioè, il risultato di imbrogli senza precedenti nel settore finanziario. Finché c’era il boom, nessuno avanzava obiezioni, ma, ora che il boom non c’è più, queste attività vengono sottoposte ad un’attenta analisi. I banchieri, che ieri si scambiavano senza problemi enormi quantità di debito, ora si astengono dal farlo; si diffondono sfiducia e sospetto e il facile ottimismo precedente è stato sostituito da un atteggiamento di cautela verso i prestiti. Tutto il sistema bancario, da cui dipende la circolazione del capitale, si sta fermando.
In realtà, finché gli attivi di carta straccia non saranno eliminati, molte istituzioni bancarie non avranno sufficiente capitale per fornire crediti freschi all’economia.

Marx ha così descritto, a suo tempo, questa fase del ciclo economico:

“Il fatto che in periodi di crisi vi sia mancanza di mezzi di pagamento è così evidente da non richiedere spiegazione. La convertibilità delle cambiali si è sostituita alla metamorfosi delle merci stesse, fenomeno, questo, che si manifesta soprattutto in questo periodo e con una intensità tanto maggiore, quanto maggiore è il numero delle ditte commerciali che lavorano a credito. Una legislazione bancaria inconsulta e stupida, come quella del 1844-45, può aggravare ulteriormente questa crisi monetaria. Non esiste tuttavia legislazione bancaria che possa scongiurarla.
In un sistema di produzione in cui tutto il meccanismo del processo di produzione riposa sul credito, deve evidentemente prodursi una crisi, una affannosa ricerca dei mezzi di pagamento, al momento in cui improvvisamente il credito viene a mancare e tutti i pagamenti devono essere fatti in contanti. A prima vista, sembra quindi che la crisi nel suo complesso sia unicamente una crisi creditizia e monetaria. Ed effettivamente si tratta in realtà unicamente della convertibilità delle cambiali in denaro. Ma queste cambiali rappresentano, per la maggior parte, acquisti e vendite reali che, avendo assunto un’estensione di gran lunga superiore al bisogno sociale, sono in definitiva la base di tutta la crisi. Inoltre una massa enorme di queste cambiali rappresenta soltanto affari truffaldini, che vengono ora finalmente a galla e scoppiano; inoltre rappresentano speculazioni fatte con capitale altrui e non riuscite; infine capitali-merce deprezzati o del tutto invendibili, oppure riflussi che non possono più attuarsi. Tutto questo sistema artificiale di ampliamento violento del processo di riproduzione non può, naturalmente, essere risanato per il fatto che una banca, ad es. la Banca d’Inghilterra, fornisce in carta a tutti gli speculatori il capitale che fa loro difetto ed acquista al loro antico valore nominale tutte le merci ora deprezzate. Del resto, tutto qui si presenta deformato, perché in questo mondo di carta non appaiono mai il prezzo reale ed i suoi reali elementi, ma soltanto lingotti, denaro sonante, banconote, cambiali, titoli. Questa deformazione è soprattutto visibile in quei centri in cui come Londra confluiscono tutte le operazioni finanziarie del paese, cosicché il processo nel suo insieme sfugge alla comprensione. È meno sensibile invece nei centri di produzione” («Il capitale», vol. 3, capitolo trentesimo, “Capitale-monetario e capitale effettivo”, I, Editori Riuniti, Roma 1968, p. 576).

I capitalisti devono ora espellere tutto il capitale fittizio dal sistema. Ma questo è un processo doloroso, che genera nuovi pericoli all’organismo. Il sistema, dunque, si contrae e il credito evapora, costringendo i capitalisti a richiamare i debiti. Coloro che non possono pagare falliscono; la disoccupazione, di conseguenza, aumenta e ciò riduce a sua volta la domanda, moltiplicando i fallimenti e i debiti inesigibili. Così, tutti i fattori che hanno sospinto verso l’alto l’economia nell’ultimo periodo, ora la spingono sempre di più verso il basso. Il crac (che potrebbe cominciare dalla discesa del dollaro) è dunque l’unica ‘soluzione’: la grande purga con cui il capitalismo, liberandosi dalla congestione speculativa, realizzerà la coincidenza fra il valore fittizio del capitale azionario e il valore reale del capitale fisso.

Sennonché, la storia del crac non finisce qui. Vediamo allora quali saranno le conseguenze ulteriori. La crisi passerà da un paese all’altro e da un continente all’altro. In questo caso è cominciata negli Stati Uniti, che è il paese dove la furia della speculazione è giunta ai suoi massimi livelli. Ma presto, e contro tutte le previsioni, tranquillizzanti e più o meno interessate, degli economisti borghesi, si è propagata in Irlanda, Spagna, Gran Bretagna e in tutta l’Europa. Le sue ripercussioni si sentiranno in Sud America, Asia e Africa. Tutti questi paesi e continenti cadranno uno dopo l’altro come tessere del domino. La Cina non ne rimarrà fuori, anche se per il momento è ancora in crescita.

In una crisi di tale portata i capitalisti sono costretti a ricorrere a misure straordinarie per accaparrarsi quote in un mercato che va riducendosi. Ricorrono a sconti, al ‘dumping’ e ad altri metodi per battere i concorrenti. Ma in tal modo aggravano la crisi alimentando una spirale deflazionistica discendente. La gente ritarda gli acquisti aspettando prezzi più bassi e così abbassa ancora i prezzi. Lo si vede con chiarezza sul mercato immobiliare. Il contagio si allarga, quindi, come un’epidemia incontrollabile da un paese all’altro, e risulta così palese che tutti i paesi hanno esportato troppo (dal momento che vi è sovrapproduzione) e anche importato troppo (dal momento che vi è troppo commercio): si veda ancora «Il capitale», vol. 3, p. 481. Alla fine, succederà che, avendo tutti dilatato al massimo il credito, tutti hanno accumulato legna per il fuoco dell’inflazione e della speculazione, che ora devono estinguere a qualsiasi costo. Ciò significa che non si tratta di questo o quel paese, di questa banca o di quello speculatore, ma del sistema nel suo complesso. Certo, il calo non durerà per sempre. Nel lungo periodo si raggiungerà un nuovo equilibrio, i prezzi si stabilizzeranno, la profittabilità verrà ristabilita e partirà un nuovo ciclo. Ma i segni di questa ripresa per ora non si vedono. Il crac non è finito, è appena cominciato e nessuno sa quanto durerà. E poi, come Keynes ebbe ad osservare una volta, “nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Enea Bontempi

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