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I cittadini sono i veri politici

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21 Luglio 2010

La Casta: scritto con l’iniziale maiuscola il termine si è consolidato come sinonimo di una politica strettamente coincidente con affarismo e disonestà
Da un lato è, fuor di dubbio, necessario avere a disposizione tutti gli strumenti di indagine e di informazione per portare alla luce azioni criminali e di danno alla collettività e potere fare distinzione tra gli approfittatori e gli onesti. Altrettanto indispensabile è frenare la deriva di una politica individuata come facile mezzo per arrivare a gestire piccole o grandi forme di potere o affermarsi socialmente.
Ma è altresì urgente ridare ai cittadini la consapevolezza che sono loro i veri politici, che pensano e progettano il futuro della collettività e del territorio.
Un’ottica, questa, centrale nel solido obiettivo del “costruire la città dell’uomo”, che Lazzati ha indicato come fine non solo dei politici ma di ogni uomo che sia responsabilmente artefice del “bene comune”.
E altrettanto radicata nei valori di sobrietà, pace, giustizia, fiducia e servizio che hanno animato la predicazione e la vita di quel vescovo “scomodo” per la lineare incisività che è stato Tonino Bello.
Cito questi due maestri della “cultura della politica”, con riferimento alla loro capacità di coniugare i valori della democrazia, della pace, della laicità, del servizio agli altri, della dimensione relazionale e collaborativa, della partecipazione a fondamento di ogni comunità civile.
Alla politica spesso manca la linfa vitale della formazione, del fondare l’azione su un bagaglio ideale e valoriale, che la guidi e la indirizzi. Abituati al “fare” dei programmi si trascura di esplicitare le ragioni che li sottendono.
I valori infatti non sono gli obiettivi concreti a lungo, medio o breve termine, bensì l’idea di cittadinanza, di convivenza, di senso di appartenenza, di integrazione, di relazione, di cammino condiviso nel presente e verso il futuro su cui tali obiettivi poggiano.
Come vogliamo vivere dentro le nostre comunità, nazionale o locali che siano, a quale dimensione sociale e a quali prospettive di armonico sviluppo ambientale, urbanistico, dell’istruzione, economico, dei servizi alla persona affidiamo la nostra identità collettiva?
Il parere dei cittadini è rilevante e nessun amministratore può decidere il futuro del proprio territorio senza interpellarli. Né fare scelte sopra la loro testa senza ascoltarli e senza “andare” là dove essi abitano, confrontarsi e fare tesoro del loro parere e del loro vissuto.
Se ci teniamo che la politica torni ad essere l’ambito privilegiato della riflessione e dell’azione comune per il bene di tutti, è quindi opportuno ribaltare i ruoli cui ci siamo un po’ assuefatti: che i politici tirano le fila e i cittadini si adeguano.
Ogni cittadino in realtà è un politico, partecipe alla costruzione del bene comune, quando non considera la politica “altro da sé” e non la rifugge; quando a chi si mette a disposizione per amministrare, ai vari livelli, una città, una provincia, una regione o lo Stato chiede trasparenza e chiarezza sui valori e ideali in cui si riconosce e non solo l’appartenenza partitica; quando, giovane, anziano, semplice che sia, un cittadino non si sente e non si considera affatto inferiore ad alcun politico, ma, quantomeno, alla pari.
Allo stesso modo un politico è un buon amministratore quando sa riconoscersi prima di tutto nel ruolo di cittadino e vive normalmente la vita del paese o dei rioni, percorre a piedi le strade della città e incontra la gente che conosce e a cui non è estraneo, è presente nelle scuole, nei luoghi di aggregazione per trovare nel loro quotidiano i giovani, sa usare il linguaggio della familiarità, dell’ascolto, della semplicità perché ciascuno sia a proprio agio.
La vera rivoluzione nella cultura politica è nelle mani dei cittadini, anche di quelli più semplici.
Delle Caste siamo tutti stanchi, anche dei piccoli “potentati” locali, così lontani dall’idea che la politica sia servizio e il ministro colui che “è a disposizione”.
Il cittadino può porvi un freno, dicendo stop agli atti reverenziali e di dipendenza dal “favore del politico di turno”, condizionati da tanta malagestione della politica stessa; ridimensionando il presunto prestigio sociale di qualsiasi amministratore che si senta “chissà chi” perché ricopre un ruolo istituzionale; chiedendo trasparenza sui costi della politica stessa e sulle motivazioni delle scelte amministrative.
Non devono essere gentili concessioni queste, ma la norma.
Il sindaco di una città ad esempio sarebbe bello che desse almeno metà del proprio tempo alla gente, non ricevendo su appuntamento a Palazzo, ma andando là dove la gente vive e che vivesse la vita dei quartieri e dei rioni non come invitato d’onore alle feste, ma magari condividendo una parte della vita stessa.
Non è impossibile, è questione di stile.
E a me piace pensare che la Casta e le varie “castine” si possono vincere con una rivoluzione pacifica, della mente e dello stile partecipativo; una rivoluzione culturale fatta dalla gente, guidata dal buon senso e dalla voglia di essere artefici e costruttori del territorio in cui viviamo.
Luisa Oprandi

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