I magistrati non dovrebbero imbucarsi nel recinto della politica
12 Febbraio 2006
Caro Direttore,
ho letto il post-it di Claudio Del Frate sui magistratgi in politica e vorrei esprimere la mia opinione che è diversa dalla sua. Io credo che una volta entrati in un tribunale i giudici non ne dovrebbero uscire definitivamente, peggio ancora temporaneamente, per imbucarsi nel recinto della politica. Non è bello, anche se assolutamente legittimo, intendiamoci, vedere che sacerdoti dell’imparzialità si piegano a liturgie estranee al privilegio di stare al di sopra e al di fuori delle parti. Ma mi rendo conto che sprecare tempo a ribadire il concetto è esercizio inutile e stucchevole.
Da anni il parlamento è una colonia di decine di ex magistrati. Cominciò Scalfaro, che fece strada, ne seguirono l’esempio Ayala, Violante, Tiziana Parenti, Filippo Mancuso, Elena Paciotti, Melchiorre Cirami, un bel pareggio tra sinistra e destra, fino al triplo salto mortale di colui che per l’immaginario collettivo è la toga delle toghe: Antonio Di Pietro. Se la strappò di dosso sotto le telecamere e la mise sul mercato.
Che cosa si perde, in Italia, a causa di queste trasmigrazioni aggravate e continuate è risposta pronta: si perde la fiducia in quella separatezza dei ruoli istituzionali che, una volta sancita da una scelta, non dovrebbe essere messa in discussione. Si perde la certezza che i processi celebrati in Italia sono processi e basta. E ciò a tutto vantaggio di quanti dicono che rosso non è solo il libretto di Mao, ma anche il codice di qualche pool. Si perde, infine, l’occasione di diradare le nebbie, e i polveroni, che regolarmente s’affollano su giornali e tv ogni qual volta il popolo è chiamato a eleggere deputati e senatori.
Cambia anche il cambiamento: lo dicono gli economisti, lo conferma la politica. I prefetti vogliono fare i sindaci, i ministri pure. La giustizia però è un’altra cosa: la si vorrebbe immune da contagi e confusioni soprattutto quando ad alimentarli sono personaggi divenuti simboli di stagioni giudiziarie storiche come quella di Mani Pulite. Mai, d’altronde, un partito offrirebbe uno scranno a chi non simboleggia nulla. Premio per i servigi resi la proposta di una candidatura? Queste, come tutti sanno, sono favole.
Ma so che non è il caso di illudersi: lo sconsigliano i tempi che viviamo. E che trascorrono, come ha ricordato Ratzinger, all’insegna del relativismo.



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