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Il numero esatto degli Stati italiani

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18 Gennaio 2010

Egregio direttore,
la lettera di Maria Pellegatta, in cui, giustamente e meritoriamente, viene richiamata l’attenzione sul significato e sull’importanza della celebrazione del 150° anniversario dell’impresa dei Mille, nonché sul contributo che l’Alto Milanese, oggi Varesotto, diede al Risorgimento italiano, contiene una inesattezza. Infatti, nel ricordare il sacrificio dei patrioti che provenivano da questa provincia, l’autrice della lettera afferma che essi si batterono e sacrificarono la loro vita per “il progetto di un’Italia non più sottomessa e decadente, non più divisa in sette staterelli retti da regimi vecchi e assoluti, ma una nazione libera, unita e indipendente, al passo con il moto degli altri maggiori popoli europei”.
Tutto giusto, anzi sacrosanto, tranne che per il numero degli “staterelli” preunitari. Questi nel 1814 non erano sette, ma ben dodici; scendono a dieci in séguito al Congresso di Vienna, poiché lo Stato dei Presìdi passa dal regno delle Due Sicilie al granducato di Toscana e il principato di Monaco diviene un protettorato del regno di Sardegna; si riducono infine a otto nel 1859, poiché il ducato di Lucca era stato annesso nel 1847 al granducato di Toscana e il ducato di Massa e Carrara era passato nel 1829 sotto il ducato di Modena). Ecco dunque l’elenco degli Stati italiani esistenti nel 1859: regno di Sardegna, vicereame del Lombardo-Veneto, ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, ducato di Modena, Reggio e Mirandola, granducato di Toscana, Stato pontificio, regno delle Due Sicilie, repubblica di S. Marino.
Vale perciò la pena di sottolineare: a) che ancora oggi nella penisola italiana esistono tre Stati (la Repubblica italiana, lo Stato del Vaticano e la Repubblica di San Marino); b) che indicare il numero esatto degli Stati italiani preunitari non è una forma di pedanteria professorale ma un dovere di precisione storica, dal momento che esistono e operano nel nostro paese forze politiche, come la Lega Nord e il Movimento per le Autonomie, che, a quasi 150 anni dall’Unità d’Italia, si prefiggono l’obiettivo di riportare l’assetto della penisola non solo alla situazione creata dal Congresso di Vienna, ma anche, se fosse possibile, alla situazione che trovarono i soldati francesi di Carlo VIII (1494) allorché calarono sulla nostra penisola cantando, con perfetta intuizione della sua debolezza geopolitica, questo ritornello: “Nous allons conquérir les Italies” (‘Noi andiamo a conquistare le Italie’). Oggi l’intento secessionista viene mascherato con la lustra di una parola d’ordine risalente a Carlo Cattaneo, come quella degli Stati Uniti d’Italia, ma la divisione, il frazionamento e lo spezzettamento del nostro paese (già in atto), se non sono formalmente l’obiettivo dichiarato e intenzionale di questi movimenti anti-unitari e anti-risorgimentali, saranno la necessaria e inevitabile conseguenza del modo in cui essi operano all’interno e all’esterno dello Stato per sovvertire le basi della Repubblica.
Pertanto, se è vero che esiste sulla scena internazionale un conflitto latente, ma sempre più aspro, fra ‘Stati disgreganti’ e ‘Stati disgregati’, se è vero, inoltre, che la Resistenza è stata un ‘secondo Risorgimento’, quello che ci attende, a quasi 150 anni dall’Unità d’Italia, è un ‘terzo Risorgimento’ e una ‘Nuova Resistenza’. Solo un ‘Nuovo Risorgimento’ e una ‘Nuova Resistenza’ possono infatti innalzare, coniugando l’istanza unitaria mazziniana con l’istanza ideale antifascista, un invalicabile presidio a difesa della “Repubblica una e indivisibile” (articolo 5 della Costituzione) e salvare la Patria, con una possente mobilitazione di tutte le forze civili, democratiche e popolari, dalla decadenza, dall’impoverimento e dall’asservimento, che sono i frutti immancabili e amari della disintegrazione statuale, del particolarismo territoriale e della divisione localistica.

Eros Barone

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