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Il razzismo come “foglia di fico” dei mali del calcio?

Il razzismo come “foglia di fico” dei mali del calcio?
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9 Aprile 2023

Egregio direttore,
A prescindere dagli ultimi episodi poco edificanti che hanno caratterizzato l’incontro di coppa Italia tra Juventus ed Inter (sembra infatti più che il derby d’Italia ormai un derby sudamericano…), tra i quali si segnalerebbero epiteti razzisti rivolti al giocatore Lukaku, è ormai da tempo che per le istituzioni del calcio la lotta al razzismo/discriminazione, o presunti tali, sembra essere il focus principale, con tanto di polemiche/discussioni annesse. Per esempio ricordiamo infatti anche le diatribe relative al gesto di inginocchiarsi, in sostegno al movimento americano BLM, o l’utilizzo di fasce da capitano arcobaleno da parte di alcuni calciatori, durante importanti tornei internazionali, tipo “Europei” o “Mondiali”.
Vorrei però far presente che, avendo ormai con qualche anno sulle spalle, sin da quando ancora bambino venivo accompagnato allo stadio, ho sempre dovuto assistere ad insulti di ogni tipo rivolti a giocatori, allenatori, dirigenti, a bestemmie, e, come se non bastasse anche a vergognosi oltraggi a persone morte (vedi i morti del Heysel, di Superga, ecc., ecc.). Questo per dire che secondo me certamente nel mondo del calcio è sempre esistita, ed esiste, una profonda inciviltà, ma che il razzismo autentico è un’altra cosa. Infatti non ha molto senso il fatto che dei “tifosi” idolatrino i giocatori di colore della propria squadra, ma usino atteggiamenti/insulti razzisti a quelli avversari, o no?
Detto questo per me si può anche decidere di chiudere gli stadi per manifesta inciviltà, ma, appunto, quello che non mi sta bene è il sospetto utilizzo della lotta alle discriminazioni per nascondere i veri problemi che attanagliano il mondo malato del calcio (tra l’altro problemi inerenti anche ad altri sport professionistici diciamo europei in primis), proprio come una “foglia di fico”.
Possiamo cominciare ricordando la evidente progressiva infiltrazione nel tifo organizzato di una malavita autentica e pericolosa, attratta sicuramente dalle “laute briciole” derivanti dalla grande torta economica che gira intorno a quel mondo (citiamo a titolo non esaustivo i biglietti, il merchandising, le trasferte, i servizi annessi alle partite, tipo posteggi, bar/ristoro). Non possono infatti passare inosservati i recenti casi di “capi/esponenti ultras” uccisi con uno stile da regolamento di conti malavitoso, come a Roma e Milano, o vittime di suicidi più o meno assistiti, come a Torino.
Ma soprattutto non si può più accettare che il mondo del calcio professionistico sembri in parecchie circostanze in balia di avventurieri spregiudicati di ogni sorta, che rischiano di apparire come faccendieri, riciclatori, evasori ed elusori, bancarottieri, ecc.. Come infatti dimenticare che due dei più eclatanti e recenti crack economico/finanziari italiani, cioè i casi Parmalat e Cirio, fossero legati a doppio filo al dorato mondo del calcio? Per non citare poi gli svariati casi di società professionistiche storiche che “saltano” dall’oggi al domani, anche a campionati in corso (vedi Catania), e/o subiscono penalizzazioni, sempre per irregolarità nella gestione economico-finanziaria, falsando di fatto le competizioni in essere. In ultimo, e lo dico con molta tristezza visto l’affetto che mi lega, basterebbe ricordare anche, come recentemente fatto da qualche giornalista, le vicende del calcio a Varese negli ultimi trent’anni…
Legato poi strettamente al punto precedente, vi è anche per me la questione dell’ormai inaccettabili ed irragionevoli pretese economiche dei sempre più avidi calciatori, spinti dai loro rapaci procuratori. Perché sarà anche vero che il mondo del calcio versa fior di tasse e contributi, e genera posti di lavoro considerato anche l’indotto, ma non è certamente un comparto economico autosufficiente. Cioè è bene rammentare che senza coloro che, come si diceva una volta, “pagano il biglietto”, oggi mettiamoci soprattutto le pay TV ed il merchandising, e senza i “patron” presidenti di club che mettono i loro soldi a fondo perso, tale mondo non esisterebbe. Peraltro in non pochi casi anche questi imprenditori autenticamente appassionati, imprigionati poi in questo “gorgo”, ci hanno rimesso, oltre alla squadra, anche l’azienda stessa (vedi la fine del Chievo).
Quindi, in conclusione, sarebbe opportuno che i vertici del calcio internazionale ed italiano, a cominciare dalla FIFA e dal suo Presidente, quello del mondiale in Qatar, passando per l’UEFA e dal suo Presidente, il supponente “odiatore” della superlega, comincino a darsi da fare seriamente per dotarsi di regole chiare, trasparenti ed efficaci che consentano un giusto punto di equilibrio tra la componente sportiva, perché credo di sport si stia parlando, e la componente economica. Visto per esempio che in Nord America, dove lo sport professionistico è chiaramente considerato business dell’entertainment, cioè intrattenimento, visione che personalmente non condivido, almeno si sono dotati da tempo di un impianto regolamentare funzionale, che comprende tra l’altro il discorso del cosiddetto “tetto salariale”.
L’occasione è gradita per porgere i migliori saluti,
Giuliano Guerrieri

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