In memoria di Ernesto Teodoro Moneta
24 Febbraio 2007
Egregio Direttore,
ricorre, anche se un po’ obliato, il primo Centenario dell’assegnazione del premio Nobel per la pace a Ernesto Teodoro Moneta (Milano 1833 – ivi 1818), direttore del giornale milanese “Il secolo” dal 1867 al 1896.
La motivazione del premio fu testualmente: “per il suo impegno e la fondazione dell’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale” .
Il premio Nobel per la pace nel 1907 fu concesso a pari merito al prof. Louis Renault (Parigi 1843 -ivi 1918), docente di diritto internazionale all’università la Sorbona.
Moneta, questo nostro pacifista italiano “ante litteram” fu legato da amicizia a Giuseppe Garibaldi e si arruolò nel 1859 tra i Cacciatori delle Alpi, partecipando l’anno successivo alla spedizione dei Mille in Sicilia, nella divisione Medici. Negli anni della sua direzione, “Il secolo”, edito da Edoardo Sonzogno, fu il primo giornale di Milano, poi scalzato dal “Corriere della sera” di Luigi Albertini.
E. T. Moneta fu nel contempo eroe in battaglia e anticipatore del pacifismo moderno espresso nella Carta delle Nazioni Unite; per il grande giornalista garibaldino è giusta la guerra combattuta dai popoli oppressi o dalle Nazioni occupate dall’esercito di un altro Stato.
Moneta era un esperto militare, ufficiale di Stato Maggiore del generale Giuseppe Sirtori, al cui fianco seguì tutte le guerre d’indipendenza, dal 1848 al 1866, fece de “Il secolo” un punto di riferimento di tutto quel vasto movimento di pensiero democratico , repubblicano e socialista fortemente coinvolto nei processi unitari e le grandi riforme sociali.
Moneta era massone ed amico, oltre che di Garibaldi, anche dei grandi socialisti italiani come Filippo Turati e Anna Kuliscioff, di Leone Tolstoj, di Vilfredo Pareto, di Emilio De Marchi, di Edmondo De Amicis e di Scipione Borghese, con i quali intratteneva intense corrispondenze.
La figura di E. T. Moneta, di portata internazionale, caustico e feroce difensore delle grandi libertà di pensiero, può essere accostata, ma all’ennesima potenza, a quella di Indro Montanelli.
Moneta non era un pacifista imbelle, ma un uomo coraggioso e combattivo che si schierò contro ogni avventura bellica di aggressione, come la campagna coloniale in Eritrea, culminata con la tragedia di
Adua nel 1886.
Per il Nobel gli fu assgnata una somma cospicua per quel tempo, 96 mila lire, equivalenti a circa mezzo milione di euro di oggi, che egli destinò interamente all’Unione Lombarda per la pace e l’arbitrato, poi
trasformatasi in Società per la pace, rappresentanza in Italia della Società internazionale per la pace, da lui fondata nel 1887, insieme con Francesco Viganò, un mazziniano di antica data che aveva preso parte nel 1833 alla spedizione di Savoia, e di Angelo Mazzoleni, un altro garibaldino che aveva combattuto con lui a Milazzo, San Fermo ed al Volturno.
L’Unione Lombarda, nella quale E. T. Moneta aveva fatto confluire anche la gratifica che Edoardo Sonzogno gli aveva assegnata al compiersi del ventennio di direzione de “Il secolo”, promosse anche il primo Congresso italiano per la Pace, che fu di fondazione del movimento, svoltosi nella sede dell’Associazione della Stampa di Roma sotto la presidenza di Ruggero Bonghi e con la presenza anche di un rappresentante del Governo, l’allora Ministro delle finanze, on. Federico Seismit-Doda (Ragusa dalmata 1825 – Roma 1893), acceso liberale-repubblica no.
Al primo Congresso italiano per la pace parteciparono oltre novanta delegazioni e ventuno comitati e società per la pace e altrettanti comitati operai.
E. T. Moneta, sette anni dopo il premio Nobel per la pace, si ritenne coerente con i propri principi nell’assumere una ferma posizione interventista nel grande conflitto del 1914, per il quale sostenne la necessità dell’ingresso in guerra dell’Italia, fedele al proprio rigore patriottico e convinto che la guerra avrebbe contribuito ad un nuovo ordine in Europa.
E. T. Moneta fu convintissimo assertore dei principi della massoneria universale alla quale si rifacevano anche Garibaldi e Cavour, che gettò le basi per una nuova visione del diritto internazionale autonomo
dalle nazioni.
Fine intellettuale di penna e di sciabola, fu tra i fondatori dell’Italia moderna e democratica; la sua fu una figura dalla religiosità laica e teosofica vincente, che da guerriero si convertì ai principi kantiani sulla pace universale, per diventarne un apostolo.
Su “Vita internazionale” , giornale da lui fondato, scrisse il 20 giugno 1904 un articolo contro l’irredentismo, in cui si legge: “poiché tra gli irredentisti vi sono quelli che la guerra videro e combatterono valorosamente quando l’Italia politica non esisteva e bisognava crearla, non ricordano più lo spettacolo orribile di un campo di battaglia, i petti squarciati, i crani aperti, le membra rotte, i contorcimenti, gli spasimi, i gemiti, le lunghe strazianti agonie dei feriti? Quelle vite spezzate anzi tempo, quei gemiti e quegli strazii significavano per ogni soldato rimasto illeso, la protesta del diritto di ogni uomo alla vita contro la inumanità della guerra.”
Malgrado la creazione della Fondazione Moneta, è ignominioso che non si serbi la giusta memoria e che le sue carte e la sua biblioteca vengano disperse invece di essere riunite in un loro Pantheon. Le carte dell’unico premio Nobel italiano per la pace sono nel caveau di una banca e in parte sono state vendute all’asta da Christie’s e recuperate solo in extremis dal Museo del Risorgimento di Milano.
Di E. T. Moneta c’è memoria pubblica solo per un busto nascosto in un angolo dei giardini pubblici di piazza Cavour a Milano, dove un piccolo Pantheon invaso dalle ortiche ricorda altri letterati ed eroi garibaldini, busto che fu posto lì nel 1924 da alcuni suoi amici e discepoli, poi rimosso dal Fascismo e lì ricomposto dopo la guerra.
Ma, anche nel Centenario del premio Nobel a lui assegnato, le Istituzioni non mostrano il dovuto interesse per Ernesto Teodoro Moneta, il giornalista, il pacifista, il garibaldino, il repubblicano, il massone, ma soprattutto l’uomo dall’intelligenza eroica e scomoda che potrebbe illuminarci tanti angoli oscuri della cultura politica internazionale della seconda metà dell’Ottocento e fino alla I guerra mondiale.
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