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La dislessia va affrontata con una legge

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28 Gennaio 2006

Egregio Direttore,

dopo aver letto la seconda lettera della professoressa Margherita Pellegrino, non riesco a restare in silenzio.

Sono una mamma che da otto anni affronta col proprio figlio i problema della dislessia e sono indignata!
Purtroppo in Italia abbiamo ancora solo una legge in discussione al Senato.
Gli altri Paesi, dove si conosce la dislessia da decenni, hanno già le loro leggi che vengono applicate da anni. Hanno meno dispersione scolastica e più dislessici laureati rispetto a noi.
Peraltro, questa legge non sarebbe neanche necessaria, se non ci fossero tanti insegnanti, disinformati come la professoressa Pellegrino, che rifiutano sia di documentarsi, che di applicare le circolari ministeriali che raccomandano l’uso di speciali accorgimenti nella didattica e nella valutazione degli alunni dislessici.

Chiunque è libero di esprimere la sua opinione personale ma non certo di fare affermazioni completamente false.
Prove di RMF (risonanza magnetica funzionale) dimostrano che i dislessici utilizzano, per determinati compiti, zone del cervello diverse rispetto ai normolettori.
Inoltre, negli ultimi anni, sono stati individuati diversi geni in diversi cromosomi responsabili della dislessia. Purtroppo, la trasmissione della dislessia non segue regole semplici come quelle della buccia dei piselli di Mendel!

Riguardo alla didattica vorrei chiedere alla professoressa, dall’alto della sua esperienza ventennale, come spiega il fatto che tanti dislessici laureati abbiano ancora qualche difficoltà nella lettura, nella scrittura o magari non sanno le tabelline?
La lettura e la scrittura sono abilità così semplici che possono essere apprese anche da persone con lieve ritardo mentale. Come mai ci sono persone intelligenti che fanno fatica dopo quindici anni e più di scolarizzazione?

Per finire vorrei tranquillizzare la professoressa, così preoccupata del benessere psicologico dei bambini. Gli incontri col neuropsichiatra o con la logopedista, per la valutazione dei disturbi specifici di apprendimento, non hanno mai creato scompensi in nessun bambino. Non mi sembra affatto appropriato parlare di medicalizzazione dell’istruzione, tanto più che nessun farmaco viene somministrato.

Al contrario, non si può dire che tutti gli insegnanti siano innocui. Quelli che non si appropriano del problema, che non ascoltano, che continuano ad applicare rigidamente il loro sistema di insegnamento anche quando non funziona, che sminuiscono i problemi dei dislessici etichettandoli come lazzaroni o stupidi….. quelli sì, minano fortemente la personalità, ancora non formata dei loro alunni, spesso azzerandone l’autostima e la volontà di “provarci”.
I dislessici, se hanno alle spalle una famiglia in grado di aiutarli e sostenerli, lavorano molto più dei loro coetanei, anche se spesso, soprattutto negli anni della scuola dell’obbligo, non ottengono i risultati che meriterebbero. Proprio per questo vanno comunque apprezzati e sostenuti. Bisogna spiegare loro che se, nonostante tutto, avranno la forza di proseguire nel loro percorso scolastico potranno conseguire il risultato che vogliono perché col tempo le loro difficoltà si attenueranno e loro troveranno strategie per aggirarli.

Mi scusino gli insegnanti se sono stata dura, ma sentivo il dovere di farlo.
Un grazie a quegli insegnanti che amano il proprio mestiere e i propri alunni e che sono capaci di mettersi in discussione.

Elena Beltramme

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