La dismissione dell’Italia
13 Agosto 2012
“Noi amavamo Bagnoli. Perché rappresentava mille cose insieme ma, prima di tutto, perché incarnava ai nostri occhi una salutare contro-cartolina della città. L’amavamo perché introduceva in una città inquinata − la Napoli della guerra fredda, dell’abusivismo selvaggio, del contrabbando − valori inusuali: la solidarietà; l’orgoglio di chi si guadagna la vita; l’etica del lavoro; il senso della legalità…”
Dopo circa un secolo di vita l’Ilva, la grande acciaieria di Napoli, è condannata a scomparire e Vincenzo Bonocore, ex operaio diventato tecnico delle colate continue, viene invitato ad organizzare lo smontaggio del “suo” impianto, venduto alla Cina. Ermanno Rea nel romanzo “La dismissione” (2002) ha scritto l’epopea della storia di questa industria e della sua classe operaia. La martellante interrogazione della realtà che è al centro di questo romanzo sospeso tra la realtà e la finzione trova oggi un inquietante riscontro nella vicenda, per molti versi analoga, dell’Ilva di Taranto, oltre che, sempre all’insegna del tema della ‘dismissione’, nel progetto coltivato dall’attuale governo di alienare ad aziende private e a paesi stranieri buona parte del patrimonio pubblico dello Stato italiano.
Nel romanzo di Rea la fabbrica che lentamente si disfa e scompare è una sorta di basso continuo che accompagna la narrazione dal principio alla fine. L’acciaieria di Bagnoli avrebbe dovuto essere, sia in quanto motore della modernizzazione di una città che si liberava dai suoi fantasmi e dalle sue eredità negative sia in quanto prodotto del sacrificio e del lavoro di generazioni di operai, lo strumento del riscatto di Napoli. In primo piano vi sono perciò gli operai, i riti dell’altoforno, la solidarietà, le grida di rabbia e l’angoscia. In primo piano, soprattutto, vi è lo sgomento di Bagnoli, il quartiere che perde di colpo, assieme al lavoro industriale, tutte le sue sicurezze. In una pagina introduttiva, stampata in corsivo e in corpo minore, Rea dice di avere scritto questo libro insieme con Vincenzo Bonocore, il quale non è quindi frutto di un’invenzione letteraria ma esiste nella realtà, anche se ha un altro cognome. Lo scrittore per mesi ha ascoltato “le sue confidenze: tutti i giorni dalle due alle tre e perfino alle quattro ore consecutive”. Da questa straordinaria inchiesta sulla memoria di un lavoratore che, nel lessico leninista, si potrebbe definire come un rappresentante tipico dell’aristocrazia operaia, deriva una compattezza senza smagliature, ma anche una trama avvincente. La caratteristica morale del personaggio-chiave si è trasformata in stile e si rivela nell’uso costante di termini tecnici e nella descrizione particolareggiata dei processi di produzione (le colate, le siviere, i laminatoi, i parchi minerali ecc.). Se Rea non fosse, come il Paolo Volponi de “Le mosche del capitale” e il Primo Levi della “Chiave a stella”, uno dei non molti scrittori della nostra letteratura che hanno dato voce, corpo, forma e spessore al mondo industriale e alla classe operaia, sarebbe difficile incontrare nella letteratura italiana il protagonista della vicenda da lui raccontata: un operaio che diventa quadro tecnico, crescendo all’ombra degli impianti dell’acciaieria e al fuoco delle colate continue.
Un’altra caratteristica che colpisce ne “La dismissione” è che, attraverso la dismissione di una fabbrica, si racconta la fine di un mondo o forse meglio il trapasso ad un altro mondo, i cui contorni non sono facili da individuare. La trasformazione dell’immensa area in un parco turistico e la ricostruzione dell’impianto in Cina prefigurano con sei anni di anticipo quel declino dell’industria che è, ad un tempo, causa ed effetto della crisi che ha investito “la struttura del mondo” e della pesante recessione economica che attanaglia il nostro paese. Un declino che sarà assai difficile compensare trasformando l’Italia in una sorta di Gardaland europea, ossia in un centro di servizi commerciali, finanziari e turistici. In realtà, le vicende che hanno segnato la storia dell’industria siderurgica italiana dall’Italsider di Bagnoli all’Ilva di Taranto dimostrano che il primo problema che va posto all’ordine del giorno di un progetto di rinnovamento economico, sociale e culturale dell’Italia è il problema della rinascita e della riqualificazione dell’industria.
Ermanno Rea ci ha spiegato in questo suo romanzo, con una forza profetica che è direttamente proporzionale all’esattezza della sua ricostruzione storica e alla profondità della sua penetrazione psicologica, che la dismissione non è solo un fatto reale, ma anche la metafora della fine di un ciclo della modernità, di un periodo storico, forse di una civiltà. Questa ‘dismissione’, sembra suggerire lo scrittore, è un mostro che ha le fauci spalancate e sembra voler inghiottire tutto: la singola fabbrica, il lavoro collettivo che la sottende, i sentimenti, l’umanità e le speranze.



Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.