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La mia casa e la mia famiglia me la porto appresso

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25 Settembre 2013

Caro direttore,

non scrivo da tempo, da quando sono in esilio a Trieste causa sfratto e nessuno mi avrebbe affittato una casa che ospitasse me e i miei undici cani.

Un amico mi ha messo a disposizione una casetta minuscola, mica tanto accogliente, però con un po’ di fantasia  l’ho sistemata al meglio; qualche tela di sapore un po’ anarcoide e un po’ bohemien, la faccia del Che appesa a una catena fra il salottino e vano cucina, una borsina con la scritta che recita " bisogna essere duri senza perdere la tenerezza", una maglietta, un tavolino da bar, l’angolo dei ricordi con una bimba che piange contro il muro ( io) e un cane che la consola con la sua presenza discreta. Insomma, riesco ad abitarla e mi è già andata bene con l’aria che tira. Inoltre dalla finestra vedo una striscia di mare che quando c’è brutto tempo diventa asfalto lucente.

Con Trieste il rapporto è difficile, tormentato; la gente parla poco, ci si impantana ogni secondo in qualche scazzo burocratico, i bar chiudono alle ventidue e trenta e piazza Unità troppo pulita e austera per i miei gusti si svuota.

Avendo lasciato poco o nulla non ho grandi nostalgie,  mi manca un po’ Milano, le sue strade, il suo casino di metropoli dalle mille contraddizioni, ogni tanto per sentirmi meno orfana ascolto Gaber o Iannacci e mi sembra di sentire i suoi odori, perfino quella della cacca di cane delle vie periferiche.

A Trieste in due mesi non ho incrociato nemmeno una cacca di cane eppure ci sono più cani che persone.

La visito con i miei nani e a loro va di lusso, non solo non esistono negozi, esercizi pubblici  e spazi verdi in cui vige  qualsiasi divieto nei loro confronti, ma quasi tutti i negozi hanno posto all’esterno una ciotola con acqua e croccantini per loro, una bella usanza, Varese impari.

Non so se tornerò mai dalle mie vecchie parti, non avverto la loro mancanza, vado per la mia strada finchè le gambe e i neuroni mi tengono su, la mia casa e la mia famiglia me la porto appresso, il superfluo l’ho scordato.

Roberta

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