La questione delle abitazioni
21 Aprile 2008
Egregio direttore,
l’ideologia proprietaria impedisce ai lavoratori di cogliere i propri veri interessi e li rende succubi della borghesia. Marx descrive le condizioni dei contadini francesi, vittime più che beneficiari della proprietà parcellare. I terreni erano ipotecati, le vere proprietarie erano le banche, che intascavano gran parte dei frutti del lavoro dei contadini, imponendo loro un livello di vita spesso peggiore di quello dei proletari e mantenendoli in uno stato che rasentava la barbarie: “Il contadino francese, sotto forma di interessi per le ipoteche vincolanti la terra, sotto forma di interessi per anticipazioni dell’usuraio non garantite da ipoteca, cede al capitalista non solo la rendita fondiaria, non solo il profitto industriale, non solo, in una parola, tutto il guadagno netto, ma persino una parte del salario del lavoro, e così precipita al livello del fittavolo irlandese: e tutto ciò sotto il pretesto di essere proprietario privato” (K. Marx, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, Parte Terza, “Dal 13 giugno 1849 al 10 marzo 1850”). Come sempre, la comprensione dei rapporti sociali si fonda su una teoria, il marxismo, che oggi asini, ‘maîtres à penser’ di varie tendenze, ‘militanti scoppiati’ e dilettanti subculturali considerano superata e da relegare fra le anticaglie.
Negli Usa e in Europa istituti bancari, assicurativi, società finanziarie hanno concesso crediti per l’acquisto della casa a persone che non avevano la possibilità di pagare. Si pensava di ridurre i rischi, perché le banche li diluivano in tutto il mondo attraverso ‘bond’, fondi e altri prodotti finanziari derivati. I piccoli acquirenti di tali titoli, completamente all’oscuro della gigantesca truffa, si sono ritrovati con un pugno di carta straccia in mano, mentre gli americani poveri, non riuscendo più a pagare le rate del mutuo sempre più gravose, hanno perduto la casa. Così, sono crollati i prezzi immobiliari e molte famiglie hanno perso i risparmi di una vita. La Banca Europea e la Federal Reserve sono corse in aiuto, non dei truffati, ma delle banche, mettendo a disposizione miliardi di dollari e di euro.
Mentre negli Usa per la crisi dei ‘subprime’ si registrano tassi d’insolvenza superiori al 20%, i nostri politicanti, banchieri e industriali, spergiurano che in Europa il problema è assai meno grave. Ma le banche europee sono coinvolte fino al collo in queste speculazioni e possiedono tonnellate di titoli spazzatura. In Italia persino il portavoce diretto dell’ideologia confindustriale, “Il Sole 24 Ore”, parla della necessità di “una sorta di ‘moral suasion’ nei confronti delle banche”, perché rinegozino gratuitamente i mutui a tasso variabile e allunghino il periodo di ammortamento. È come pretendere che una vipera non morda o uno scorpione non punga o un avvoltoio non si nutra di carogne.
Comunque sia, è facile prevedere che tra poco le destre, con i leghisti in testa, rilanceranno la vecchia favola dei mutui agevolati per divenire proprietari della casa e soffieranno sul fuoco della guerra tra poveri, imponendo che le case popolari siano assegnate esclusivamente a italiani.
Eppure il problema della casa era già stato affrontato con estrema chiarezza oltre 130 anni fa in uno scritto di Engels, “La questione delle abitazioni”, ricavato da tre articoli apparsi nel 1872 e ripubblicati sotto forma d’opuscolo nel 1887. Engels scrive: “Poniamo che in una data regione industriale sia diventato normale che ogni operaio possegga la sua casetta. In questo caso la classe operaia di quella regione abita gratuitamente; del valore della sua forza lavoro non fanno più parte le spese per l’abitazione. Ma ogni riduzione dei costi di produzione della forza lavoro, cioè ogni durevole deprezzamento dei bisogni vitali del lavoratore, ‘in forza delle ferree leggi dell’economia politica’, si risolve nel ridurre il valore della forza lavoro e finisce quindi per avere come conseguenza una corrispondente caduta del salario. Quest’ultimo, quindi, verrebbe decurtato in media del valore medio della pigione risparmiata, vale a dire che il lavoratore pagherebbe l’affitto della sua propria casa non più, come prima, in denaro al padrone, ma in lavoro non retribuito all’industriale per cui lavora. In tal modo i risparmi dell’operaio investiti nella casetta diventerebbero, sì, in un certo qual senso, capitale, ma non per lui, bensì per il capitalista che gli dà lavoro.” Engels aggiunge: “Per gli operai delle nostre grandi città la prima condizione vitale è la libertà di movimento, e la proprietà fondiaria non può essere altro che una catena, per loro. [….] Procurate loro una casa in proprietà, incatenateli di nuovo alle zolle, ed ecco che spezzerete la loro capacità di resistenza contro la politica di riduzione salariale condotta dagli industriali.” Purtroppo questa lezione è stata ben assimilata dal capitalismo e non dagli operai ai quali era rivolta. A partire dal dopoguerra, a milioni si sono indebitati per comprare la casa. Le ore di straordinario non si contano e, oltre a perderci in tempo libero e salute, l’operaio deve contenere i già modesti consumi propri e dei familiari. Gli scioperi, se ci sono, devono essere limitati non solo per contenere la perdita salariale, ma anche e soprattutto perché chi si mette troppo in vista ed è licenziato perde tutto. Così la capacità di resistenza è spezzata.
Ancora nel 2006 sono stati accesi 404.2156 mutui per la casa. Bankitalia ha dichiarato che alla fine del 2007 il rapporto tra debiti e reddito disponibile ha raggiunto il 49%, mentre nel 2001 era sul 30%. La spesa per la casa a Roma e a Milano può arrivare fino al 70% del reddito di una famiglia: “Nel mercato dell’abitazione in proprietà si presentano situazioni di disagio sociale. La sostituzione di un canone di locazione con una rata di mutuo non è avvenuta alla pari”. Ad affermarlo è la società di studi Nomisma, che così descrive la situazione: “Il mutuo, causa soprattutto l’aumento dei tassi d’interesse delle banche, è sempre più alto e le famiglie fanno fatica a pagarlo. Per il mercato italiano dei mutui si tratta di una crescita senza precedenti. Sono aumentate le famiglie indebitate e la loro esposizione è peggiorata negli anni recenti”.
Con tutto ciò, neppure la soluzione dell’affitto è facile. È senz’altro preferibile perché meno ingannevole, non lega al suolo e rende più agevoli i trasferimenti, ma ha i suoi aspetti negativi. I precari spesso non riescono a trovare case in affitto, perché le agenzie, non appena sentono parlare di lavoro a tempo determinato, cambiano tono. Molte case sono sfitte e, per celarle al fisco, molti proprietari disdicono persino il contratto per la corrente elettrica. Questo è possibile perché il nostro catasto è meno efficiente di quello del tempo dell’imperatrice Maria Teresa. I diversi governi non hanno fatto nulla per sanare questa piaga infetta, questa discesa nella clandestinità di molti proprietari di case. Ma è soprattutto la diffusione della proprietà che riduce il mercato degli affitti, facendo salire i prezzi.
Come Engels precisa, “non è la soluzione del problema delle abitazioni che risolve al tempo stesso la questione sociale, ma solo la soluzione di questa rende possibile al tempo stesso quella del problema della casa”. Nei periodi di ‘boom’ economico fioriscono i sogni proprietari dei lavoratori, una piccola parte di loro passa nella piccola borghesia, una parte di piccoli e medi borghesi si arricchisce. In tempi di crisi avviene invece la grande mietitura: debiti, fallimenti, pignoramenti. Operai e piccoli borghesi si accorgono di aver lavorato per i grandi finanzieri, che speculano sulle loro disgrazie. Una potente ondata di proletarizzazione e anche di pauperizzazione scuote la società. Si presenta però anche l’occasione, per i lavoratori, di riscoprire la lotta di classe, unico strumento reale che permette di combattere il capitale, di ottenere qualche vantaggio economico e sociale e di creare le condizioni per poter fuoriuscire da una società capitalistica putrescente.
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