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La storia di Mario Gramsci

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3 Aprile 2012

Egr. direttore,
interessante la ricostruzione biografica degli ultimi anni di Antonio Gramsci e del suo pensiero politico fatta dal lettore Romolo Vitelli (lettera 484). Vorrei al riguardo fare un alcune brevi precisazioni.
Gramsci nel 1927 fu condannato per cospirazione politica prima a 5 anni di confino e successivamente a 20 di carcere. Ne sconterà solo 8 in quanto, a seguito dell’aggravarsi di una malformazione contratta in epoca giovanile che lo porterà alla morte, fu graziato e ricoverato nella migliore clinica privata di Roma, la Qusisana ai Parioli, a spese dello Stato.
Durante la detenzione, in una cella individuale, poté disporre, a partire dal 1929, di una fornitissima biblioteca e l’assoluta libertà di scrivere le sue lettere contro il Regime che venivano regolarmente consegnate, senza alcuna forma di censura, alla cognata russa Tanja Schucht.
Altro aspetto poco conosciuto riguarda i rapporti con Togliatti che furono pessimi. Gramsci lo accusò di averlo tradito a seguito della sua lettera inviata a Mosca il 14 Ottobre del 1926 dove denunciava i metodi praticati in Unione Sovietica contro coloro che avevano attuato la rivoluzione di ottobre, Kamenev, Zinoiev e altri. Quella lettera, che anticipava di trent’anni la denuncia di Krusciov, costituì la sua condanna da parte comunista. Fu, infatti, censurata. Allora decise di partire per l’URSS dove avrebbe ripetuto in pubblico, nel convegno allargato del Comintern, quello che aveva scritto nella lettera. Su Gramsci già aleggiava l’accusa di Emilio Sereni che lo definì un trotzkista.
Poco prima della sua partenza per Mosca Gramsci sarà arrestato perché abbandonato dal suo partito che, pur disponendo di una struttura finalizzata proprio all’espatrio dei propri leader, lo ignorò completamente permettendo alla polizia fascista di prelevarlo e processarlo.
Vorrei, con l’occasione, ricordare la figura di un altro Gramsci, il fratello Mario. Anch’esso attivamente impegnato in politica, ma completamente dimenticato perché ebbe la sfortuna di vestire la camicia nera.
Più giovane di dodici anni, Mario Gramsci aderì al Fascismo al ritorno dalla prima guerra mondiale che combatté con il grado di sottotenente. A nulla valsero i tentativi del fratello Antonio di convincerlo ad abbandonare la fede fascista per aderire a quella comunista, non ci riuscirono neppure le bastonate dei compagni che lo ridussero in fin di vita.
Fu il primo segretario federale di Varese, volontario per la guerra d’Abissinia e combattente nel ’41 in Africa settentrionale.
Dopo l’8 Settembre ’43, quando l’Italia si svegliò col fazzoletto rosso attorno al collo e la bandierina americana in mano, Mario Gramsci, invece di gettare la sua divisa come fecero molti suoi coetanei, continuò a combattere, ma lo fece dalla parte dei perdenti. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana.
Fatto prigioniero dai partigiani fu torturato per fargli abiurare la sua fede fascista.
Poi fu deportato in un campo di concentramento in Australia, dove le durissime condizioni di detenzione riservate ai militari fascisti non renitenti cominciarono a minare la sua salute.
Rientrò in Patria sul finire del ’45 e subito dopo morì in un ospedale di terz’ordine attorniato solo dall’affetto dei suoi cari.
Non pretendo che Mario Gramsci sia ricordato alla stregua del fratello maggiore cui, giustamente, sono dedicati libri e intitolate piazze – perché, al di là del giudizio storico, rimane un grande del novecento – ma un piccolo pensiero, credo, lo meriti anche lui.
Con Mario Gramsci voglio onorare tutti fratelli “minori” come Guido, il fratello di Pier Paolo Pasolini, ucciso dai partigiani comunisti nel febbraio del ‘45.
Dimenticati, questi fratelli d’Italia, perché caddero – secondo la storia scritta dai vincitori – dalla “parte sbagliata”.

Grazie per l’ospitalità e cordiali saluti.

Gianfredo Ruggiero

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