Le conseguenze delle ‘passioni tristi’
6 Maggio 2005
È di Spinoza la massima: “Humanas res nec flere nec indignari, sed intelligere” (intorno alle cose umane non versare lacrime né esprimere indignazione, ma cerca di comprenderle).
Per quanto, dinanzi alla efferatezza di un fratricidio come quello consumato a Viggiù, attenérvisi possa essere arduo, questo è il primo dovere di un educatore. Mi preme allora, partendo dall’inaccettabile e dall’impensabile che tuttavia si verifica (ma questo è proprio il volto del male), porre due problemi di ordine teorico, che quella terribile vicenda èvoca.
Il primo è quello della demistificazione critica della ideologia individualista, oggi dominante, che concepisce la società come una serie di esseri isolati gli uni dagli altri che intrecciano tra loro relazioni di tipo utilitaristico e contrattuale e guarda, di conseguenza, all’individuo come ad un microcosmo separato e autosufficiente rispetto al contesto sociale, storico e culturale, in cui è invece profondamente inserito e da cui è profondamente condizionato. In realtà, occorre cambiare ottica e, tenendo presente l’assioma di Marx secondo cui “l’uomo è il mondo dell’uomo”, occorre guardare al problema (e ai problemi) dell’individuo come ad un ‘mondo’, per l’appunto, in cui tra l’intimità più profonda e l’esteriorità più assoluta non c’è, come nel nastro di Moebius, soluzione di continuità, sicché alla fine interno ed esterno risultano indiscernibili.
Il secondo problema, che occorre affrontare per interpretare correttamente le situazioni di rischio, disagio e potenziale devianza, che si manifestano nella società, e per costruire, partendo dalla scuola, un percorso attraverso cui le parole e le azioni della cittadinanza (istruire/educare/prevenire/includere) si trasfòrmino in relazioni di etica sociale e di senso, il secondo problema, dicevo, è la riscoperta della sfera del desiderio, che è una sfera eminentemente relazionale e sociale.
Orbene, è giusto osservare che ciò che oggi inquieta gli insegnanti, i formatori e gli educatori è che la società attuale sembra non essere più in grado di proporre ai giovani la loro inclusione sociale come frutto e fonte di un desiderio profondo.
Traducendo nel linguaggio della sociologia contemporanea, è questo il volto della ‘società liquida’, che Zygmunt Bauman ha definito in tal modo per mettere in risalto l’azione corrosiva esercitata dal capitalismo sulle strutture tradizionali delle società precapitalistiche e sulle differenti forme di organizzazione della stessa società capitalistica: “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali”.
Marx aveva compreso la potenza della produzione capitalistica, che è insieme creazione e distruzione, che produce insieme nuovi rapporti sociali, ma anche rifiuti sociali ed emarginazione, che produce in un crescendo inarrestabile disagio, malessere, devianza e criminalità, poiché – come afferma giustamente Foucault in un’ottica biopolitica – “la società moderna può far vivere alcuni e farne morire altri”. Non a caso le passioni generate da questa società e dalla sua cultura sono definibili, con espressione spinoziana, ‘passioni tristi’ (senso di minaccia, senso di incertezza e senso di impotenza).
Come fare allora a riscoprire la potenza del desiderio, fattore che pone in relazione con gli altri e condizione per generare ‘passioni gioiose’? Non ho ricette da suggerire; sono però convinto che formulare questa domanda e porsi i problemi che ho indicato siano i primi decisivi passi da compiere, se si vuole davvero “capire che succede dietro le facciate imperturbabili delle nostre case”.
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