Le potenze del Bric e il prossimo collasso degli Usa
14 Dicembre 2008
Egregio direttore,
in Russia la crisi ha portato, dopo quello del 1998, ad un massiccio crollo della Borsa e alla situazione prefallimentare di alcune istituzioni finanziarie sorte nel periodo del capitalismo selvaggio di Eltsin. Dal canto suo, il governo di Putin è orientato a rafforzare la presenza del capitale pubblico nel settore finanziario e a sostenere quello già presente in larga maggioranza nel settore strategico degli armamenti, del petrolio e del gas, ma anche nei settori del trasporto. Da quando Putin è giunto al potere, cioè alla fine del 1999, il capitale pubblico che era in minoranza anche in aziende strategiche come Gazprom è ritornato ad avere un ruolo importante nell’economia russa: in tal modo la Russia pensa di superare o di resistere alla crisi economica mondiale.
In Cina una recente risoluzione dell’Ufficio Politico del Partito comunista e la Conferenza annuale dell’economia recentemente conclùsasi hanno adottato per prevenire le conseguenze della crisi economico-finanziaria una linea di intervento basata sull’accentuazione del controllo macro-economico statale e sul sostegno alla modernizzazione dell’agricoltura, all’industrializzazione della grande area occidentale dell’immenso paese, al risanamento ambientale e all’incremento della domanda interna per sopperire alla mancanza di sbocco delle esportazioni nei mercati esteri interessati dalla crisi. Gli indicatori finanziari hanno rilevato un trend di flessione della Borsa di Shanghai, anche se in forma più contenuta rispetto a quello delle altre Borse mondiali, una perdita del capitale azionario cinese nella vicenda del fallimento della Leman Brothers, l’incertezza dell’andamento dei ‘bond’ americani, di cui, come è noto, i cinesi sono tra i maggiori detentori. Gli indicatori economici mostrano invece che il notevole tasso di sviluppo dell’economia cinese dovrebbe per il prossimo anno flettersi di poco, assestandosi intorno ad un incremento del 9% rispetto al 10% degli anni precedenti. A sua volta, la disoccupazione non dovrebbe superare il tasso del 5%, oltre il quale la situazione occupazionale diventerebbe preoccupante, soprattutto se si tiene conto del fatto che negli scorsi anni la disoccupazione strutturale era scesa sotto il livello del 4%. Anche se per le merci di massa prodotte dalla Cina stanno in parte venendo meno i mercati europei e del Nord-America, questo non dovrebbe essere un problema, dal momento che l’aumento degli scambi con la Russia, le due Coree, l’America Latina e l’Africa polarizzerebbe in questi paesi la corrente di traffico dell’esportazione. Ma il problema della Cina, a lungo andare, è un altro. Quanto potrà durare la transizione cinese o, meglio, come si articolerà, nella nuova situazione creata dalla crisi economica mondiale, quella “economia socialista di mercato” che, a detta dei dirigenti del PCC e dello Stato cinese, dovrà condurre all’affermazione di una “società socialista realizzata” entro la metà del XXI secolo? È questo l’interrogativo storico che scaturisce dal combinato disposto fra la seconda crisi generale del capitalismo e la prospettiva cinese della transizione ad una nuova formazione sociale.
L’America Latina sta reagendo alla crisi finanziaria mondiale con grande attenzione, almeno da parte dei paesi che fanno leva su uno sviluppo indipendente, anche se fra questi ultimi bisogna fare una distinzione tra quelli ad orientamento socialista come Cuba, il Venezuela, il Nicaragua, la Bolivia e l’Ecuador e quelli che non mettono in discussione i rapporti di produzione capitalistici, pur respingendo decisamente il neoliberismo e l’espansione imperialistica degli Usa, come il Brasile, l’Argentina, il Cile, l’Uruguay ed altri, che tanti disastri hanno subìto nel passato per quelle politiche e per quell’egemonia. La decisione, da parte del primo gruppo di paesi, di istituire una moneta unica, anche se per il momento solo di conto, detta Sucre, per fornirsi reciproco sostegno e per ammortizzare le ripercussioni della crisi finanziaria mondiale, così com’era accaduto in Europa con l’Ecu prima dell’Euro, rappresenta un fattore importante per la coesione del continente centro e sud-americano, soprattutto se ad essa aderiranno gli altri grandi paesi.
Per quanto riguarda le prospettive degli Usa, esse sono decisamente inquietanti se mèrita crédito l’articolo “Russian scientist: ‘USA is a pyramid that has to collapse’, pubblicato sul sito web < english.Pravda.ru > del 4-12-2008, ove si riporta un’intervista del prof. Igor Panarin ai media americani, nella quale lo studioso sostiene che nel 2009 vi sarà negli Usa una deflagrazione della lotta di classe, che condurrà al collasso non solo l’economia ma la stessa unità degli ‘States’, tanto da consentire di pronosticare addirittura la formazione di quattro Stati nazionali: la California (in cui è assai numerosa la popolazione d’origine cinese), il Texas (nel quale esiste il nocciolo duro della destra americana), uno Stato Atlantico ed un altro nel Nord, abitato dalle minoranze dei nativi d’America e sottoposto all’influenza del Canada. Si potrebbe ricordare, a questo proposito, che dopo il crollo dell’Unione Sovietica Brezinski, consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Bush senior, auspicava lo stesso scenario per la Russia e si adoperava con la Cia per disintegrare il grande paese delle steppe e far nascere al suo posto tre Stati: la Russia con estensione territoriale dall’Europa fino agli Urali in Asia, uno Stato siberiano, come l’attuale Georgia, influenzato dall’America e da essa depredato dei ricchi giacimenti di petrolio, gas, oro e diamanti, ed un altro Stato nel Pacifico, lasciato all’influenza del Giappone e della Cina.
Una cosa, però, mi sembra chiara, considerando lo stato della crisi: avanti, il capitalismo mondiale guidato dagli Usa, spingendo ulteriormente il processo della globalizzazione, non può andare; indietro, in direzione del protezionismo, non può tornare; in questa situazione esso si trova in bìlico e combatte disperatamente non solo contro le forze antagonistiche che lo vogliono rovesciare ma anche contro se stesso. Se vince vi sarà un cambio di leadership al vertice degli Usa; se perde si avvierà nei fatti una fase di transizione verso una nuova formazione sociale. Forse si avvicina il momento in cui sarà possibile dire: scacco al re, il re è matto?
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