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Le radici statunitensi del successo della mafia nel ’900

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18 Febbraio 2012

Caro direttore
Tra la fine dell’’800 e l’inizio del ’900 nasce negli Usa, in séguito all’emigrazione dalla Sicilia, una consorella della mafia siciliana. Emerge da questo dato di fatto, che smentisce la tesi sull’‘imprinting’ siciliano, locale, della mafia (derivante perciò, secondo questa ottica xenofoba e razzista, da una predisposizione etnica alla delinquenza), lo stretto rapporto che si viene a creare tra questa organizzazione criminale e la globalizzazione capitalistica, laddove quest’ultima si concreta nell’esistenza di circuiti migratori ed affaristici di carattere internazionale. Infatti, negli Stati Uniti d’America, paese chiave della globalizzazione dell’età contemporanea, paese creato da flussi di forza-lavoro, capitali, merci ed informazioni provenienti dall’esterno, la grande criminalità ha sempre assunto una forma etnica, qualificandosi in base all’aggettivo che segue il sostantivo: criminalità tedesca, ebraica, irlandese, italiana, siciliana ecc.

Sennonché la tesi razzista può essere rovesciata e sostituita da una tesi ‘globalista’ che permette di vedere nella mafia non un fenomeno statico e invariante, ma il prodotto mutevole di molteplici fattori sociali, economici e politici, in una parola storici. Vi sono, dunque, delle società che hanno bisogno della criminalità e la vanno a cercare dove la trovano, importandola entro i loro confini, perché serve. Se si ragiona sulla storia della criminalità organizzata negli Usa, questo è un aspetto molto evidente, poiché le varie organizzazioni criminali etniche hanno funzionato come uno strumento poderoso di integrazione subalterna dei rispettivi gruppi etnici nella società nord-americana sia sul piano politico che su quello economico, in particolare nella gestione delle aziende. Come i latifondisti siciliani usavano i mafiosi per gestire le loro attività economiche, così molti grandi capitalisti statunitensi usavano la criminalità organizzata per gestire le loro imprese. Del resto, il ‘deficit’ di legalità e di statualità che si registra in questi due poli del mondo euro-atlantico (costa orientale degli Usa e Sicilia) è molto simile, anche se lo sviluppo economico e politico di questi due poli è profondamente diverso. Il ‘trait-d’union’ fra questi due livelli radicalmente diseguali dello sviluppo capitalistico è costituito, per l’appunto, dalla globalizzazione otto-novecentesca. In sostanza, come dicono i criminologi nord-americani, la criminalità organizzata offre beni e servizi che sono richiesti da qualcuno, esattamente come accade quando vi è un soggetto che intende consumare degli stupefacenti o un altro soggetto che chiede protezione. Nel mondo statunitense la criminalità etnica assume pertanto un ruolo particolare, poiché è forte e coesa e produce identità. Da quest’ultimo punto di vista, non è difficile capire che gli stessi immigrati hanno un senso della propria identità che facilmente li porta a preferire un criminale proprio ad un poliziotto straniero.

In conclusione, la globalizzazione di fine ’800 e inizio ’900 ha dato una ‘chance’ straordinaria alla mafia ed è la ragione del suo grande successo. La storia della mafia, cominciata nella Sicilia centro-occidentale, è continuata in territori molto lontani, poiché nel “secolo americano” le persone si spostano, il denaro circola e le merci si scambiano. Non a caso, se qualche successo nell’azione di contrasto alla mafia è stato conseguito in tempi recenti, ciò si deve ai livelli di mobilitazione dell’opinione pubblica e ai livelli di collaborazione tra le forze di polizia realizzati dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico. Come osservano quei funzionari e quegli operatori delle istituzioni pubbliche che sono maggiormente impegnati in questa azione di contrasto, è solo quando la mafia viene combattuta con continuità e su scala internazionale che la mafia viene sconfitta.

Italicus

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