Lettere a mia figlia
14 Aprile 2011
Cara Renata,
non so bene perché, proprio stamattina – lungo il tratto di strada che mi portava in ufficio – mi è venuta questa voglia irresistibile di scriverti. Ma mi piacerebbe anche – scrivendo a te – parlare a tutti i ragazzi della tua età, e a quelli un po’ più grandi e a quelli che verranno. Scusa, quindi, se condividerò questo momento molto personale tentando di farlo diventare ragionamento pubblico. So che capirai.
Perchè questo bisogno? Forse perché i telegiornali ritraggono, ogni giorno di più, un mondo ed un Paese che mi atterriscono e terrorizzano. Forse perché, da giorni e in relazione a questo, mi vorticano in testa due canzoni del "mio" Guccini, entrambe dedicate alla figlia. Del resto tutta questa lettera si muoverà attraverso le canzoni.
Tu, giustamente, preferisci "Glee" e Avril Lavigne: però, dai, quante volte abbiamo sbraitato insieme, nei viaggi in macchina, "Don Chisciotte" e "Cyrano" obbligatoriamente puntando il dito, a mo’ di spada, sul ritornello ("io non perdono e tocco!")?
In una di quelle canzoni – "Culodritto" – Francesco invita la figlia, con qualche rimpianto, a volare "verso un mondo dove è ancora tutto da fare" e nell’altra – "E un giorno" – ne vede la crescita e la maturazione, specchi paralleli del suo invecchiare, e conclude: "sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po’ folle un po’ saggio nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio. La paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato, la paura e il coraggio di dire: io ho sempre tentato".
Io e tua madre abbiamo sempre tentato. Abbiamo sempre tentato di insegnarti poche cose semplici e al contempo difficilissime: che le cose più belle ed importanti della vita nascono – e si conquistano – a partire dalla gentilezza e dalla bontà, dall’altruismo e dalla generosità, dalla disponibilità e dall’apertura a riconoscere in noi ma soprattutto nei tuoi amici, nei tuoi compagni di classe, nei tuoi insegnanti l’esistenza di un mondo ricco e colorato, dal quale imparare giorno dopo giorno. Abbiamo cercato di farti comprendere quanto è importante la curiosità, studiare, sapere e capire, anche con fatica. Che esiste – l’hai sempre avvertito, del resto, con l’istinto egualitario dei bambini – quella cosa che chiamiamo "giustizia": e che la giustizia nasce dal riconoscimento e dalla promozione dell’esistenza degli altri, di tutti gli altri. E che quindi implica uguaglianza, regole e libertà. Anche di quelli che ci danno un grande fastidio, e sono tanti, e a volte vorremmo prenderli a schiaffi. Sono "come te" anche – e soprattutto – perché sono diversi da te. Che non ha senso essere amici di tutti (e non esagerare con facebook!) ma che è splendido essere disponibili a diventarlo.
Abbiamo cercato di insegnarti che tutto questo è l’essenza di quella cosa che chiamiamo "umanità". Una cosa che porta con sé anche la pietà istintiva, la sofferenza per chi soffre, uno strano – e difficile da raggiungere – senso della "totalità" e di quella che mi piace considerare la "comunione laica" del genere umano: quella cosa che ti fa piangere davanti ad un TG o ad un documentario ma anche guardando un film o leggendo un romanzo o assistendo in teatro alla tragedia adolescenziale di Giulietta e Romeo. Ma che ti fa anche ridere di fronte alla bellezza, alla natura, alla gioia, agli happy end: abbiamo cercato di insegnarti anche quella cosa preziosa che è il senso dell’umorismo…
Abbiamo tentato di proteggerti ogni giorno, crescendoti nella speranza e nella fiducia e senza mai insegnarti la paura, che è la vera madre dell’odio. Proteggerti, ma senza concederti alibi: abbiamo cercato di farti capire che gli insegnanti possono a volte anche sbagliare, ma hanno quasi sempre ragione e i tuoi risultati scolastici sono solo tuoi. Che gran parte di quel che sarai dipende anche da te, da quante cose saprai e da come le saprai. Che quel che avrai dipenderà da ciò che sarai.
Sei un po’ bassa di statura e probabilmente non diventerai una gigantessa: i cromosomi di famiglia, ahimé, non promettono niente di buono. Quegli stessi stupidi cromosomi che ti hanno regalato la miopia e gli occhiali già diversi anni fa. Abbiamo cercato di insegnarti che tutto questo non conta nulla, proprio nulla. L’hai capito benissimo: e ti vedo tutti i giorni fuori da scuola attorniata da compagni e compagne che ti abbracciano, con cui chiacchieri e ridi. Vi volete bene e vi stimate. Siete ancora capaci di capirvi ed amarvi oltre la statura. La vostra bellezza – dei ragazzi e soprattutto delle ragazze – non ha niente a che vedere con la carta patinata.
Tutto questo abbiamo cercato di insegnarti. Domani, tra non molto, capirai che tutto questo – questo insieme di valori di base – non è altro che politica. Un certo modo di considerare la politica e il suo intreccio indissolubile con l’etica. Quella cosa strana che, con Kant, insegna – potrebbe insegnare – che il fine implicito ed ultimo dell’azione umana, tra le mille approssimazioni e contraddizioni di ciascuno, dovrebbe essere la promozione dell’umanità stessa e della sua dignità.
Però domani, tra non molto, scoprirai forse che ti abbiamo insegnato un oceano di sciocchezze, un mucchio di vuote ingenuità: che studiare non serviva a nulla e che commuoversi guardando "E.T." o leggendo "Margherita dolcevita" era una stupida debolezza infantile; che il denaro è davvero in grado di comprare vite ed idee, carriere e futuro, spianando tutto; che la fatica è inutile, che la sensibilità è l’ultimo rifugio degli scemi, che la cultura non si mangia. Che quel mendicante lì all’angolo della strada va cacciato, perché "è brutto" e rovina l’arredo urbano. Ti scatterà "il servofreno dentro il cuore" – direbbe Vecchioni – per acquistare la beatitudine dell’indifferenza, la maschera neutra del farsi i fatti propri.
E scoprirai, forse, che il pertugio che porta al futuro si fa sempre più stretto e che quel vecchio del secolo scorso – "Come si chiamava? Ah, già, Guccini" – ti ha imbrogliato, regalandoti , insieme a quelli della sua e della nostra generazione, un mondo "dove non c’è più niente da fare", senza speranze, verità, possibilità. E forse – assistendo ai facili successi quotidiani delle tante trionfanti e vuote "modelle senza umanità" – arriverai a maledire persino quegli infelici cromosomi di cui ora non ti importa nulla…
Ma no. So che non succederà.
Perchè è lì, arroccato in difesa, vive e fiorisce per ora nelle catacombe ma torna a farsi vedere sempre più di frequente nelle strade, nelle piazze, nelle scuole, sui tetti delle Università e sulle gru dei cantieri, nei barconi dei migranti, nelle agenzie di lavoro interinale, sui palcoscenici dei teatri e davanti a Montecitorio. Lo trovi nella rete e rimbalza su twitter. Scava e rode come l’antica vecchia talpa. Ha molti nomi: lo puoi chiamare cambiamento, libertà, uguaglianza, lavoro, dignità, sapere, cultura, futuro…
E, ci ricorda Ivano Fossati, "se c’è una strada sotto il mare, prima o poi ci troverà. Se non c’è strada dentro il cuore degli altri, prima o poi si traccerà".
Noi abbiamo sempre tentato. Ora dipende anche da te, Renata. Dipende da tutti voi.
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