Lo Stato sociale? È ancora possibile
19 Dicembre 2005
Egregio Sig. Direttore,
questa sera – complice la stanchezza!? – mi sono soffermato a riflettere (nuovamente) sul tanto decantato “Stato sociale”, che a destra – come a sinistra – sembra non andare (più) tanto di moda. Il dibattito “politico” (che del senso letterale del termine, come l’intendevano i
Greci, non ha assolutamente nulla) s’incentra sulla gestione/chiave di lettura di un liberismo sfrenato, lontano dai cittadini in quanto radicato nell’alta finanza internazionale (e mondialista). Orbene, risollevare le sorti della nostra Italia non sarebbe – poi – così
difficile, se solo ci fosse una precisa volontà d’azione, volta a preservare quel “welfare State” che con il Ministero del Lavoro dovrebbe avere a che fare esattamente come con l’Istruzione, la Giustizia e le Pari opportunità (e chi più ne ha, più ne metta: “Stato assistenziale”
non è soltanto una condizione lavorativa – personalmente, ripudio l’idea che uno Stato possa essere fondato sul “lavoro”: avrei preferito fosse stato fondato sul popolo -, ma una concezione del mondo diametralmente
opposta a quella liberale, sin dalla semantica)… si avvicinano le elezioni e tutti parlano di programmi, di tesi, di congiunzioni, di opposti estremismi e di tutto ciò che possa distogliere l’elettore dai problemi reali che la vita quotidiana porta alla luce.
Forse pecco d’eccessivo pragmatismo, ma vedo la soluzione – giuridica, amministrativa e politica – ai problemi principali della nazione come molto semplice e realizzabile, se solo si volesse rilanciare il Paese
(perché questo è il primo problema dei governi che si sono succeduti dalla compilazione della Costituzione neo-repubblicana ad oggi). Parlo di “salario minimo d’inserimento sociale”, “mutuo sociale” – per l’emergenza abitativa -, una riforma dell’Istruzione che trasformi la
scuola odierna in una “educazione popolare” (oltre il becero nozionismo, introducendo – sì – “nuove” materie di studio, ma che siano l'”educazione civica” e il “diritto” – assente nei licei -, a costo di sacrificare l’ora di religione cattolica, che è del tutto superflua,
esistendo il catechismo presso le strutture adeguate), aumentando la competitività, ma stimolando la comunicazione (reale) tra gli studenti, una “scuola di vita” che non sia né un’alcova per eterei filosofi, né una fucina di lavoratori (peraltro precari). Basterebbe una precisa
volontà politica, ancora una volta, per risolvere il problema dell’aborto: vogliamo realmente abolire/rivedere la legge 194!?
D’accordo, ma che si devolvano “interamente” i proventi dell’otto per mille ad un fondo “vincolato” per l’assistenza (economica e sociale) alle famiglie. S’introduca l’adozione prenatale e si snelliscano le
pratiche d’adozione verso gli Italiani, una chimera per quelle coppie che da anni sono in lista d’attesa, quasi non ci fossero bambini bisognosi d’affetto, come di una casa e di possibilità pari a quelle dei coetanei. Si rilancino le “opere pubbliche” per aumentare l’occupazione e si “re-introduca il nucleare” – che certo inquina, ma “il 70% in meno del petrolio” (e del carbon fossile) col quale alimentiamo tuttora le nostre centrali elettriche (oltre che le automobili), che peraltro producono solo il 30% del fabbisogno nazionale (“indipendenza energetica” significa tagliare le accise e, quindi, pagare un decimo la benzina e almeno la metà le bollette della corrente elettrica) -, si
prevedano finanziamenti pubblici per incrementare la bio-architettura (il progetto è dei Verdi), si abbia il coraggio di dire basta alle multinazionali del petrolio introducendo l’olio di colza come carburante.
In un’Italia del genere – per la quale metterei la firma – i consumi tanto cari a Confindustria (e, di conseguenza, alla maggioranza di ieri, oggi e domani, per quanto io aborrisca l’idea stessa di consumismo, ma non m’illudo che si possa creare un’Europa nazione, etno-identitaria,
socialista e armata…) balzerebbero a cifre stellari, perché nelle tasche degli Italiani ci sarebbero altro che quei miseri euro coi quali non si arriva alla fine del mese. E così avrebbero un senso le denominazioni DOP/DOC/made in Italy/etc., perché un popolo benestante
può permettersi la qualità *e* la quantità cui è abituato. Avrebbe un senso parlare di pensioni perché ci sarebbe davvero un lavoro da cui andare in pensione, così per il TFR, dal momento che l’occupazione precaria non consente – per com’è stata interpretata la mobilità – di fare granché della “liquidazione”, che già viene inclusa (praticamente)
nella retribuzione trimestrale/semestrale/et cetera. L’artigianato non dovrebbe morire per colpa della Cina (e dell’Europa e dell’Italia, perché le derive mondialiste del primo mondo sono responsabili più della concorrenza sleale cinese del tracollo delle PMI). Le fabbriche non
dovrebbero chiudere e persino a livello morale (tanto caro ai moralisti, che però nulla fanno per perorare la propria causa, se non commettere – in taluni casi esasperati – altrettanti delitti di quelli che vorrebbero evitare) non saremmo costretti a digerire l’omicidio prenatale perché lo
Stato (e questo è il punto più importante) arriverebbe laddove i limiti del cittadino impedissero un intervento individuale.
Non credo d’avere la “bacchetta magica”, né di possedere la verità rivelata: queste ed altre soluzioni (che sono alla nostra portata, *anche* nel rispetto di Maastricht, del Patto di stabilità e quant’altro) esistono e sono realizzabili. Anche in tempi brevi. E, allora, perché nessuno – a destra come a sinistra – trova il coraggio di
prendere, tali decisioni!? Stati Uniti/WTO/BCE… potrei continuare all’infinito. La politica deve riprendere il controllo dell’economia e dello Stato, non possiamo più rassegnarci al fatto che l’economia muova la politica e che le multinazionali controllano l’economia. Rischiamo
uno scontro di civiltà.
Perché non credo nella democrazia? Perché difficilmente un popolo d’eterni indecisi, vessato da campanilismi e clericalismi, personalismi ed egocentrismi malati (perché il sano egoismo agonistico è tutt’altra cosa), consumista e fiero d’esserlo, ipocritamente cattolico nel pubblico e ateo – ma nell’accezione negativa del termine -, quanto arido a livello spirituale potrà attuare una “vera politica sociale”.
Siamo ancora in tempo, facciamo qualcosa prima che sia troppo tardi.
RingraziandoLa come sempre dell’attenzione ricevuta, Le porgo
Distinti saluti,



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