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Luigi Tosi: “Il debito si è creato per cercare di mantenere l’azienda”

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4 Gennaio 2011

Egregio Direttore,

sono Stefano Tosi, figlio del Titolare della Luigi Tosi & c.sas, e le scrivo in merito all’articolo comparso il 29/12 scorso, perché mi sento in dovere di intervenire in difesa del buon nome e dell’onorabilità della mia famiglia.

Per questo non entro nel merito della questione della cassa integrazione non concessa né dei rapporti tra il sindacato, il giudice e il fallimento, nei quali non ho alcuna voce in capitolo, ma mi atterrò ad alcune considerazioni strettamente personali.

Innanzitutto, mio padre, mio fratello ed io non ci “aggiravamo” in Azienda nel corso dell’esercizio provvisorio, ma vi prestavamo il nostro lavoro: mio fratello ed io in quanto dipendenti regolarmente in forza al Fallimento, io con la qualifica di direttore commerciale e mio fratello come responsabile informatico. Quanto a mio padre, ha prestato per tutto il periodo la sua opera per garantire il buon funzionamento degli impianti e dei macchinari, lavorando tutti i giorni dalle 8 del mattino alle 18-20 la sera, e senza percepire per questo alcun riconoscimento, neppure “formale”.

Quanto, fatto più importante, alla cosiddetta “allegra gestione” e all’ammontare del debito (preciso che il valore dell’effettivo debito generato dall’azienda è pari a poco più della metà di quanto riportato nell’articolo, ossia circa 11 milioni: il resto è dato da interessi, more e spese accessorie), vorrei ben chiarire che nemmeno un centesimo di quei soldi è uscito irregolarmente o illecitamente dall’azienda, né a favore della nostra famiglia né di chi altri sia.

Il debito si è creato, invece, per mantenere viva negli ultimi anni un’azienda con una struttura eccessiva, con il costo del personale che oltrepassava il 50% del fatturato, in cui i dipendenti erano pagati fino a 16 mensilità e che hanno ricevuto il loro stipendio fino all’ultimo mese di lavoro. Un’azienda il cui Titolare non ha mai voluto licenziare nessuno, nella speranza, azzardata forse, ma lecita e morale, di poter un giorno riuscire a risollevarne le sorti.

E per questo non solo ha preso su di sé il rischio di una situazione pesantissima legata al debito che via via si stava formando, ma ha coinvolto tutta la famiglia profondendo in azienda tutti, e le sottolineo TUTTI i beni personali, tanto che ora le nostre famiglie sono letteralmente sul lastrico.

Fallire è un dramma, per l’imprenditore e per i suoi famigliari tanto quanto per i lavoratori, ma nel nostro caso abbiamo la coscienza limpida di chi ha fatto e dato tutto esclusivamente per il bene dell’Azienda e di quanti vi operavano, noi compresi.

Cordiali saluti e buon lavoro

Stefano Tosi

P.S.

Un’ultima nota di colore: la Mercedes di cui si parla nell’articolo, evidentemente la mia, è vecchia di 7 anni e non è ancora stata totalmente pagata….

Stefano Tosi

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